La recensione al libro di Marco Politi che presento a Fano domenica 22 h. 17, Chiesa di S. Domenico

Politi e l’innovazione nella Chiesa Il libro di Marco Politi “Francesco tra i lupi. Il segreto di una rivoluzione”, edito da Laterza, è molto stimolante, soprattutto per le interazioni tra Chiesa e mondo. Come vanno interpretate? Spesso chi si occupa della Chiesa cattolica, ma non è questo il caso di Politi, adotta un approccio implicitamente ecclesiocentrico: i mutamenti interni sono spiegati a partire solo da logiche interne. Invece i meccanismi di innovazione sono circolari: la Chiesa anzitutto reagisce a sfide esterne e poi, con i suoi assestamenti, induce altri cambiamenti. I piani sono distinti, ma l’esperienza storica, in cui anche la Chiesa è coinvolta, è unica. Ce lo ricorda in vari punti la Gaudium et Spes, quando afferma persino che talora sono stati gli avversari della Chiesa che l’hanno obbligata a cambiamenti positivi (valga per tutti la perdita del potere temporale, definita da Paolo VI un evento provvidenziale) e la Dei Verbum quando ricorda che l’esperienza storica fa crescere e progredire nei credenti la Rivelazione divina. Il primo aspetto rilevante che incontriamo nel testo è il tentativo di bilancio equanime del pontificato di Giovanni Paolo II: un pontificato che accelera la cisi terminale, già in atto, del mondo sovietico, ma che all’interno della Chiesa non riesce sino in fondo ad affrontare in modo innovativo i problemi già emersi al Concilio (pp. 29-30). La forza esterna e la maggiore debolezza interna (si noti ad esempio, pp. 223-224, il crollo verticale, almeno per l’Italia, della pratica religiosa femminile nel Nord-Est tra le nate dopo il 1980, che pone problemi inediti di trasmissione della fede) spingono l’istituzione in quel pontificato e nel successivo a sovraccaricare l’importanza del lobbyng legislativo per cercare di influenzare i comportamenti attraverso la retorica dei “principi non negoziabili” (p. 30). Questa retorica finisce con l’identificare in modo astorico e astratto i veri principi non negoziabili solo su leggi relative ad aborto, fecondazione assistita, divorzio, finanziamento pubblico a scuole non statali. Ovviamente in politica, nel lobbyng legislativo, che è fatto strutturalmente di mediazioni, il negoziato c’è sempre: quella retorica cela solo il fatto che la “competenza della competenza” si sposta dai laici cattolici impegnati in politica ai vescovi. A questi ultimi, spetta, in via preventiva e successiva stabilire se le mediazioni possibili rientrano o no dentro l’elasticità di quei principi o la spezzano. Da qui il ruolo centrale di tre episcopati: quello italiano con il cardinale Ruini coi momentanei successi della legge 40 e della mobilitazione sul Family Day contro una regolazione soft delle convivenze stabili di coppie anche omosessuali, quello americano in materia di contraccezione (rispetto alla riforma sanitaria di Obama) e, anche lì, di leggi relative a gay, quello spagnolo rispetto alle varie iniziative del Governo Zapatero. In tutti e tre questi casi, ovviamente, l’accordo su quelle policies non è ovviamente neutro ed equidistante rispetto alle dinamiche di politics: considerare prioritarie quelle questioni significava stabilire un’opzione preferenziale per il centro-destra politico (Berlusconi, Bush e Aznar) e rinunciare ad esercitare critiche sugli altri temi di natura economico-sociale o ridurre, nella gestione concreta, l’impatto delle critiche su scelte in materia di politica internazionale (tipico il low profile di molti vescovi americani e della conferenza spagnola, ossia di due Paesi belligeranti, nel caso della guerra in Irak, pur condannata dal pontefice). Con la crisi economica mondiale, che cambia le priorità reali delle persone e, quindi, anche dei Governi, e persino, per certi versi, delle Corti costituzionali con riflessi sulle loro interpretazioni delle Carte, quel modello tracolla, in particolare negli Usa dove per due volte Obama, nonostante i vescovi, vince con la maggioranza dei voti cattolici, specie ispanici, anche in nome della sua riforma sanitaria e di quel capovolgimento reale nella gerarchia dei problemi. Da questi macro-eventi c’è il detonatore dell’elezione di Francesco. Per questo la pagina più importante del libro mi sembra la 124: “Misteriosamente (ma non troppo- aggiungerei io) la Chiesa cattolica riesce spesso a eleggere i pontefici giusti nei passaggi epocali. Giovanni XXIII arriva sul crinale del disgelo tra il blocco occidentale e quello sovietico. Paolo VI coincide col movimento planetario di decolonizzazione. Giovanni Paolo II marca la fine della cortina di ferro. Francesco è diventato papa in una stagione di crisi mondiale”. Così pure, come corollario specifico, Politi spiega il fallimento della candidatura Scola (pp. 54-55) in sostanza con l’effetto di rimbalzo del precedente fallimento politico di Berlusconi. Sono quindi evidenti le discontinuità introdotte con la cosiddetta ‘rivoluzione’ bergogliana che, in realtà, soprattutto per l’Italia, sembrano soprattutto un ritorno a Montini, specie a quel punto alto che fu il Convegno Evangelizzazione e Promozione Umana del 1976 (che, non casualmente, aveva seguito e non preceduto l’elezione di Zaccagnini alla guida della Dc): maggiore sinodalità, valorizzazione dei laici cattolici in politica, primato della testimonianza personale rispetto alla legge. Esemplare l'intervento di Bergoglio all'Assemblea della CEI dello scorso maggio orientato al dialogo e al discernimento ecclesiale. L’esito sarà pure incerto, come scrive Politi, ma nessuno dei critici interni alla Chiesa, spesso ancora influenti, sembra però capace di proporre una linea alternativa capace di slancio prospettico.

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