La luce oltre la siepe, di Luciano Iannaccone

Siamo giunti al dunque. In questa settimana il governo italiano o raggiungerà un accordo con la commissione europea per una legge di bilancio riveduta e corretta rispetto alla “manovra del popolo” oppure lo rifiuterà, esponendo l’Italia ad una procedura di infrazione europea e alla sfiducia dei mercati.

Nel primo caso, che tutti ci auguriamo, non saranno comunque rose e fiori. Gli indirizzi economici e finanziari sballati e demagogici sbandierati in questi mesi dal governo hanno pesantemente penalizzato il nostro Paese: consistente perdita di valore del risparmio delle famiglie e degli attivi bancari, circa quindici miliardi di maggiori oneri del debito pubblico complessivamente dal 2018 al 2020 secondo Bankitalia. E, accanto all’aumento del costo del denaro per Stato, famiglie, banche e imprese, perdita di credito e di fiducia dell’Italia nei riguardi di investitori e creditori.

Ma almeno, con una legge di bilancio meno irreale (che però aumenta la complessiva tassazione delle imprese del 2%, 6 miliardi) la negatività fin qui dimostrata dall’azione di governo verrebbe in qualche misura contenuta. Anche se il netto rallentamento della crescita ininterrotta dal 2014 del Pil e dell’occupazione è già in atto, per fattori internazionali aggravati dai primi irresponsabili atti del governo, dal blocco di importanti infrastrutture all’ignobile “decreto dignità”.

Se però Salvini e Di Maio, con insopportabile sicumera, respingeranno dopo la spiegazione del professore anche il parere dell’avvocato, allora per i cittadini italiani che vogliono la propria salvezza e quella della Patria non c’è tempo da perdere. Dovremo ripetere loro senza indugio e tutti insieme le parole che Oliver Cromwell rivolse ad un parlamento indegno: “In nome di Dio andatevene”. Parole che comunque non potranno tardare anche nel primo caso e che troveranno sia prima che nel voto europeo del 26 maggio 2019 la possibilità di risuonare concretamente.

Perché queste parole giungano a segno e producano il risultato sperato occorre una convergenza di opinione pubblica, di legittimi interessi economici, di competenze, di volontà riformatrice, di militanza civile e politica. L’abbiamo già vista in manifestazioni come quelle di Torino per la Tav e per una diversa politica economico-finanziaria realizzata nell’unità di tutte le associazioni produttive. Altre sono in programma, a partire da Milano, ma occorre che il più rapidamente possibile nascano luoghi di incontro e di elaborazione aperti a quanti vogliono una vera riscossa nazionale fondata sulle verità, sul lavoro, sulla solidarietà.

Tutto ciò non può consistere nell’iniziativa di un partito o di un movimento soltanto: deve trattarsi di uno spazio che non è di qualcuno, ma di tutti: singoli, gruppi, categorie professionali, movimenti e anche partiti. Lo spazio dei problemi dell’Italia, per cercare le soluzioni ed avviare la politica per attuarle. Lo spazio dei punti da unire perché si accenda la luce oltre la siepe.

Quali i punti, le grandi questioni nazionali da affrontare senza indugio ? Cito le principali a mio giudizio, tacendo sulla principalissima, una nuova Europa, di cui si è già detto. La prima è una “operazione verità”: l’Italia ha avuto ininterrottamente dal 1981 al 1994 deficit di bilancio pubblico superiori al 10%, con il debito che è esploso dal 57% al 122% del Pil. La inarrestabile spesa pubblica corrente, spesso improduttiva e comunque a debito, ha alimentato il consenso clientelare dei partiti, gli abusi della politica e rendite di posizione di tanti. Siamo diventati un Paese fortemente indebitato, “imballato” e con un peso crescente della “mano pubblica”, che ha trovato nell’Unione Europea un fondamentale fattore di stabilità finanziaria, erosa dalle crisi del 2008 e del 2011, la seconda causata dall’aumento percentuale del nostro debito per la caduta del Pil. E dall’irresponsabile rifiuto della riforma pensionistica da parte della Lega allora al governo. Le due crisi hanno causato la perdita del 9,5% del Pil e di un milione di posti di lavoro. La difficile ripresa, gestita per 33 mesi dal governo Renzi e per 15 dal governo Gentiloni con continuità di politica economica e finanziaria, ha portato a recuperare più di 4 punti di Pil ( 4,4% all’entrata in carica del nuovo governo) e a creare 1.200.000 posti lavoro, raggiungendo il massimo storico. Insufficiente il recupero del Pil a fronte del disagio sociale, molto importanti la crescita occupazionale e la discesa (lenta) del debito dal 2015, storico l’abbattimento della pressione fiscale del 2% dal 43,8% al 41,8% (comprendendo gli 80 euro di bonus). Da qui che bisogna ripartire, per crescere riducendo progressivamente il rapporto debito/Pil come impegno di onore verso gli italiani, figli e nipoti. Rifiutando le odiose bugie odierne che nascondono nuovo insostenibile debito.

La seconda questione è quella del lavoro. Non basta avere il massimo storico di occupati, che fra l’altro con il governo gialloverde stanno scendendo. La domanda di lavoro dei giovani e meno giovani che non ce l’hanno deve trovare sbocco, completando la pietra miliare del Job Act con le politiche attive del lavoro. Come agire concretamente là dove l’Anpal a ciò preposta ben poco ha fatto, anche perché la competenza, dopo il referendum 2016, è rimasta regionale ? E come rimuovere lo scandalo di un’offerta aziendale di posti di lavoro, pari quasi all’1% del totale degli occupati, che non viene soddisfatta per mancanza delle figure professionali richieste, che il sistema scolastico non forma?

La terza questione, fondamentale, incide sempre più negativamente, con altri fattori, sul basso incremento di produttività del sistema Italia e concerne una patologia inesorabilmente crescente ed intollerabile: quella burocratica. Al di là delle chiacchiere, in ogni ambito autorizzativo il continuo innalzarsi dei livelli di precauzione e controllo rende sempre più difficile e oneroso iniziare e gestire qualsivoglia attività economica. Un recente evento a Roma della Cna ha contribuito a squarciare il velo su di una patologia che coinvolge migliaia di enti pubblici e affligge milioni di operatori economici. Essa non è più tollerabile e richiede un lungo, ma immediatamente incisivo lavoro di bonifica. Che provocherebbe da subito effetti assolutamente sorprendenti su Pil e produttività.

Quarta questione: una misura generale contro la povertà come il Rei (reddito di inclusione) diventato operativo con il governo Gentiloni è necessaria e deve essere potenziata, mantenendo la attuale dimensione comunale che consente di accertare la realtà ed evitare gli abusi.

Quinto: problema immigrazione. Ridotti grandemente gli sbarchi grazie a Minniti molto più che a Salvini, si pongono due problemi. Il primo è quello della gestione (rimpatri compresi) di chi non ha diritto d’asilo, che il decreto Salvini non risolve. E che si connette al più vasto tema della sicurezza così sentito da tanti, a cui vanno date attenzione e risposte. Il secondo è quello, iniziato da Minniti, di canali internazionali per il riconoscimento del diritto d’asilo prima del conseguente arrivo regolare in Italia. E ancora di canali internazionali che consentano flussi regolari di mano d’opera richiesta da datori di lavoro italiani e soddisfatta da migranti economici.

Insieme con le questioni ho avanzato linee di soluzione proprie ad un liberalismo sociale nemico di ogni espansione clientelare, tra incrostazioni e privilegi, della mano pubblica, che è condiviso da quanti hanno compreso i gravi pericoli insiti nella demagogia e nella faciloneria che sono oggi al governo del Paese, a partire dal folle rifiuto di infrastrutture strategiche.Uno spazio di confronto oltre la siepe del conformismo e delle frasi fatte chiama tutti, partiti di opposizione compresi, all’onestà intellettuale. I partiti di centro-destra rimasti all’opposizione riconoscano che l’insostenibile programma del governo gialloverde è figlio, oltre che dell’inconsistente demagogia grillina, anche del proprio programma elettorale fatto di promesse fallaci del costo di ben più di cento miliardi. I candidati alle primarie Pd, come Zingaretti e (purtroppo) Martina, stanno invece zigzagando fra timido riformismo e furbo massimalismo che consenta loro di esser pronti ad eventuali accordi coi 5Stelle. Sappiano che così non mancherà loro il consenso dei simpatizzanti del “reddito di cittadinanza” e delle anime belle di sinistra che non perdonano a Minniti di aver affrontato da statista, dopo i ritardi di Renzi, il problema degli sbarchi e della sicurezza. Ma non avranno il mio e quello di tanti italiani che cercano la luce oltre la siepe. 

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