In ricordo di Giovanni Celenta

Il 21 febbraio 2020, all’inizio dell’emergenza sanitaria Covid 19, ci lasciava per un improvviso malore il nostro amico Giovanni Celenta.

A distanza di tre anni, l’11 maggio 2023, è stato ricordato con una giornata di studio e riflessioni organizzata presso l’Università degli studi di Salerno e nella Sala del Gonfalone del Comune di Salerno.

Al centro della riflessione, i due grandi temi che hanno costituito il perno dell’impegno culturale e della passione civile di Giovanni: le riforme istituzionali e la partecipazione democratica.

Nel quadro della commemorazione è stata presentata e distribuita una “Raccolta di scritti” di Giovanni Celenta, di cui pubblichiamo un estratto.

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Giovanni Celenta

Raccolta di scritti

 


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Ricordando Giovanni

 

A volte rivedere fotografie del passato produce senso di fastidio, quasi impressione di violenza inattesa, perché contrasta con le immagini che noi custodiamo di una persona, un avvenimento, un luogo, perché impone una visione troppo parziale rispetto a quella più sfumata e imprecisa, ma più generale e adeguatamente comprensiva di quella che ci portiamo dentro. È il rischio che si corre nel pubblicare questa raccolta di scritti di Giovanni Celenta, troppo ridotta e parziale rispetto a una produzione più ricca e variegata, del tutto insufficiente a dar conto di un’esperienza di vita molto più vasta e multiforme.

A determinare la scelta degli scritti è stata innanzitutto la difficoltà nel reperirli. E chi ha conosciuto Giovanni capisce bene i motivi che lo inducevano a non archiviare gli articoli pubblicati, gli stessi che lo portavano a evitare di apparire ogni volta che poteva, a privilegiare l’affermazione delle sue idee a quella personale, a dedicarsi allo studio e all’approfondimento più che all’esposizione. Quelli rinvenuti riguardano due periodi limitati e ben individuabili: il primo, tra il 1981 e il 1983, relativo alla sua esperienza di liceale impegnato nell’animazione e rappresentanza studentesca; il secondo, tra il 2013 e il 2014, relativo alla sua attività di volontariato culturale e politico, mentre è promotore di un’associazione, “Nonunodimeno”, finalizzata a operare pressione all’interno del Partito Democratico salernitano per favorire il rinnovamento delle forme di partecipazione e il rafforzamento del processo riformatore. Poco, troppo poco, per rappresentare una vicenda intellettuale ben più articolata e complessa. Eppure, a leggere bene tra le righe riguardanti tematiche particolari di quegli anni, si rilevano motivi e problemi di carattere ben più generale, riemerge un fil rouge rappresentativo di un pensiero facilmente riconoscibile, si accendono flash capaci di illuminare più ampi spazi di memoria.   

Innanzitutto lo stile. Giovanni era persona fedele ai suoi valori, tenace nella loro difesa fino alla testardaggine, ma sempre aperto al confronto, rispettoso delle tesi che non condivideva, fiducioso di trovare punti di incontro anche con gli interlocutori che muovevano da presupposti lontani dai suoi. Le sue osservazioni, anche quando puntute e radicali nei contenuti, erano sempre temperate nella forma, attente a non scendere nella polemica personalistica, a non perdere di vista l’obiettivo prevalente di costruire ponti. E poi l’entusiasmo contagioso che metteva nel promuovere iniziative, la capacità di coinvolgere sempre con l’aria di chi sta per andare a una festa, mai alla guerra. Un compagno di scuola, Gigi Orlando, l’ha ricordato così: “Ciò che resta di te in me è quel tuo sorriso incoraggiante, quella tua voglia di batterti fino all’ultimo, quel tuo disporti di fronte allo sforzo con quel tuo sorriso che sfociava in una fragorosa risata. Solo tu eri stato capace di infondermi quella voglia di svegliarmi alle 6 e 30 del mattino per allenarmi con te fino alle 8 e 30, inizio delle lezioni al liceo Tasso. Per la prima volta una classe di quarta ginnasio, una matricola, vinceva il torneo di pallavolo interno nel confronto con i più grandi di età. La regia era la tua. Ci allenavi con schemi precisi. Sapevi fintare un passaggio, e inesorabilmente ingannavi l’avversario, incamerando punti su punti. Riuscisti a far vincere l’intelligenza e l’impegno” (“La Città”, 23 febbraio 2020).

Infine, l’importanza del legame con la FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), in cui ha ricoperto la carica di presidente diocesano e ha maturato l’appartenenza profonda e convinta alla “generazione che, a partire dalla fine degli anni ’80, ha fatto della riforma del sistema politico il cuore di una lettura della storia del Paese e di una conseguente proposta”, per la quale “le istituzioni non sono forma ma sostanza” (G. Armillei, “landino.it”). Il collegamento costante con gli amici della FUCI a livello nazionale, avviato durante gli studi universitari e proseguito nel tempo, ha costituito il laboratorio cui partecipare per affinare idee e mettere a punto progetti, il riferimento alto cui improntare l’attività a livello territoriale, oltre che l’opportunità per stabilire saldi legami di amicizia. Sicché, dagli anni dell’Ulivo di Prodi alla nascita del Partito Democratico e fino al governo Renzi e al fallimento del referendum costituzionale, la partecipazione di Giovanni alle vicende politiche non ha avuto altro obiettivo se non quello di rafforzare le politiche di riforma, di contribuire a cambiare un sistema istituzionale ritenuto causa più che effetto del cattivo funzionamento della democrazia italiana.

(Giovanni Carlo Bruno, Alfonso Conte, Fulvia Zinno)

 

 

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Parte prima

La politica come mediazione

 

Pubblicati su “Il Segno”, mensile a cura dell’UCSD (Unione Cattolici Studenti Democratici), associazione attiva in quegli anni presso il Liceo “Tasso” di Salerno, gli articoli che qui seguono non possono essere datati con precisione, poiché il giornalino (quasi sempre una decina di fogli ciclostilati e spillati) non fornisce indicazioni precise. Tuttavia, grazie ai riferimenti contenuti negli articoli, il periodo della pubblicazione può essere circoscritto tra il 1981 e gli inizi del 1983. Giovanni è tra i responsabili dell’associazione negli ultimi tre anni liceali, quando ha tra i sedici e i diciotto anni di età. Sono gli anni del post-terremoto, ma anche dell’attentato al Papa e degli scioperi in Polonia promossi da Solidarnosc, dell’ultima fase della “guerra fredda”, della conclusione del terrorismo politico, del referendum per l’aborto. Sono soprattutto gli anni successivi alle stagioni dei movimenti giovanili del 1968 e del 1977, quando le contrapposizioni ideologiche sono ormai esaurite e il riflusso nel privato prende il posto della politicizzazione spinta che aveva caratterizzato le precedenti giovani generazioni. I partiti di massa mostrano sempre più evidenti segni di crisi e la stessa Democrazia Cristiana diviene oggetto di critiche provenienti dal mondo cattolico, soprattutto da Comunicazione e Liberazione e dal movimento che a Palermo fa riferimento a padre Pintacuda, che già lascia presagire la fine dell’unità dei cattolici italiani in politica. È un periodo di ripensamento, di tentativo di trovare nuovi riferimenti in un contesto che, dopo anni di sostanziale continuità, mostra segnali di profondo mutamento.

In controtendenza rispetto al disimpegno della maggioranza dei suoi coetanei, il giovanissimo Giovanni Celenta individua fin da allora il campo politico in cui operare e la tradizione culturale a cui riferirsi, quelli del cattolicesimo democratico, della DC nata sulle basi del Codice di Camaldoli, della formazione giovanile attraverso l’Azione Cattolica e la Fuci. E, fin da allora, l’ispirazione della fede religiosa alla base dell’impegno pubblico, il valore della mediazione come elemento centrale dell’attività politica, l’apertura a collaborare e confrontarsi con tutti gli uomini di buona volontà iniziano a rappresentare i valori principali ai quali ancorare la propria azione.

 

(Giovanni Carlo Bruno, Alfonso Conte, Fulvia Zinno)

 

 

Mediazione tra cultura e politica: il nuovo problema della Chiesa italiana

 

Il complesso problema intorno al quale mi accingo a elaborare alcune semplici riflessioni si è manifestato nella coscienza più matura e consapevole dei Cristiani solo con il Vaticano II. Tale evento ha stuzzicato e problematizzato il rapporto fede-cultura-politica, un aspetto della vita del credente che egli sino ad allora aveva vissuto a livello inconscio e quindi senza la dovuta considerazione per una grossa fetta dell’intera vita dell’uomo che non può essere definita marginale in confronto a nulla, in quanto coinvolge la persona come essere-in-relazione.

La prospettiva di fondo che sorregge l’azione del battezzato nella società è la partecipazione responsabile dello stesso al cammino sofferto e faticoso dell’umanità tesa alla costruzione della società terrestre. All’interno di questa prospettiva così ampia e tanto poco riduttiva esistono apparentemente in contrapposizione teorica tipologie di approcci e campi di intervento particolari che ricevono luce e giustificazione estrinseca dalla teologia e antropologia conciliare. Di ambienti da animare, al cristiano che desidera contribuire efficacemente alla costruzione di un mondo più umano, la società ne offre più di uno: basti pensare al sindacato, al partito, solo per proporre gli esempi più emblematici: oppure movimenti o associazioni a carattere prevalentemente culturale che operano nella scuola. Di fronte ad una vasta gamma di stili di inserimento il mondo cattolico (intendo per mondo cattolico quell’insieme di persone, multiforme nella sua connotazione politica e culturale, ma unito soprattutto dalla comune ispirazione cristiana e dall’insegnamento sociale del magistero), attualizzando le felici intuizioni e dettami conciliari, ha optato in Italia per due concezioni dell’impegno che si rifanno idealmente al dibattito ancora aperto all’interno dell’era cattolica sulla cultura della presenza (vedi Comunione e Liberazione e Movimento Popolare) e cultura della mediazione (vedi Lega Democratica, Acli e Fuci).

Il dibattito ha legittimato da ambo le parti sul piano teologico la duplice questione; se la cosa è più che normale perché lo stesso messaggio evangelico, pur chiamato a vivificarla, non si lega direttamente a nessuna cultura, la disputa non è pienamente valida sotto il profilo storico. Infatti, la crisi delle istituzioni e delle “centrali ideologiche” ha coinvolto in un modo o nell’altro anche la Chiesa nella sua manifestazione storica; la cristianità occidentale conseguenzialmente ha subito dei forti contraccolpi sotto la pressione di un movimento di contestazione e di un pensiero che sapeva quel che non voleva e non sapeva quel che voleva, anche se inneggiava a valori quali la libertà, la giustizia, l’uguaglianza. Ora, a partire da quest’analisi, chi sceglie la via della mediazione ha maggiori possibilità di intervento e di successo in un ambiente che si è fatto sordo allo sbandieramento di grossi ideali e che rifiuta barricate e blocchi ideologici ignari dei rischi di atomizzare una società già di per sé tormentata. In tal senso non ha più rilevanza sociale, il che non significa rilevanza evangelica, la diffusa idea che la cultura di ispirazione cristiana di nome e di fatto deve confrontarsi con quanti non la pensano come noi e deve facilitare il suddetto scambio con un atteggiamento di ricettività disincantato le riaggregazioni monolitiche e astoriche nella sfera sociale o politica. Tutto ciò non è privo di conseguenze sulle quali larga parte del mondo cattolico dovrebbe ritrovarsi. Un sereno dibattito va favorito tra i raggruppamenti a carattere sociale, prepolitico, purché il problema non si affronti finalizzandolo a intenti che hanno l’unico scopo di modificare dall’esterno l’assetto della DC. Il rapporto fede-cultura-politica non va più identificato con Chiesa-difesa dei diritti religiosi-DC, ma va allargato al benefico influsso di un’ispirazione cristiana di fondo che può favorire diverse scelte storiche. La cultura a metà strada fra fede e politica oggi ha da compiere il lavoro più complesso nella ricerca degli elementi che saranno i cardini di un’azione politica tendente a risolvere i problemi più impellenti dell’uomo moderno, e cosciente che senza il supporto di un progetto di riforma della società è destinata a morire in tempi brevi, priva di quella carica ideale che solo un’analisi storica, culturale e sociale può darle.

 

 

(...omissis…)

 

Una mediazione culturale nel pluralismo ideologico dei tempi moderni

 

La sacra congregazione per l’educazione ha emesso un nuovo documento sulla scuola. Gli ultimi dieci anni di lavoro sono stati dedicati a temi riguardanti soprattutto la missione evangelizzatrice della Chiesa nei confronti di quei cristiani che già avevano espresso la loro fondamentale fedeltà all’annuncio di Cristo (vedi l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, il documento di base Catechesi tradaendae). Gli interessi della gerarchia per ragioni ovvie si sono dovunque e comunque focalizzati intorno all’attività apostolica più eminentemente ecclesiale, la catechesi. Gli unici momenti che in qualche modo hanno tentato un approccio apostolico di carattere diverso, qual è quello antropologico, sono rimasti inascoltati o scarsamente seguiti. Eppure, se vogliamo leggere con equità il cammino degli anni ’70, non possiamo prescindere dal convegno “Evangelizzazione e promozione umana” come anche dal dibattito intenso, ma ristretto a pochi eletti, sulla ricomposizione dell’area cattolica. Le associazioni e i movimenti di ispirazione cristiana hanno acquisito la consapevolezza di esprimere, attraverso la catechesi, un linguaggio, se pur legittimo, non consono pienamente da solo alla situazione religiosa e culturale della nazione. Infatti, il fenomeno del secolarismo ha prodotto, e continua a produrre, in forme piuttosto accentuate non solo il progressivo distacco ideale delle realtà temporali (scuola, istituzioni politiche) dalla sfera etica, ma ha mutato anche, in ordine ai diversi fini che ora essi si pongono, l’assetto delle stesse. Sia pure in crisi di identità, sono esse ora, e non più le tradizionali aggregazioni ecclesiali, gli ambienti da cui partire per riformulare un nuovo umanesimo cristiano, una pastorale più vicina a noi giovani. La nostra epoca ha segnato dei punti a sfavore delle secolari agenzie educative (Chiesa, famiglia) e ha affiancato a queste tante altre in grado di influenzare più delle prime la pubblica opinione. La riflessione dei credenti non deve cadere nella tentazione di ignorare la portata dei suddetti cambiamenti. Una mediazione culturale al passo coi tempi ed anche una pastorale di più ampio respiro sono chiamate con responsabilità a ridefinire i loro linguaggi con strumenti conoscitivi, di lettura della realtà, quali le moderne scienze di sociologia e antropologia, connesse intimamente con gli studi teologici e filosofici. Il tutto favorito dai nuovi orientamenti conciliari. Sembra, infatti, saltato il tradizionale quadro di riferimento che spiegava il rapporto fede-storia con il binomio, che sapeva per la verità più di intoccabile postulato, Chiesa-mondo. Esso, pure adeguato storicamente a un momento di diffusa conflittualità, quale quello corrispondente agli inizi del secolo, e spiegabile in parte con una teologia fortemente intrisa di ecclesiocentrismo, ha nuociuto all’impegno in ambienti extra-ecclesiali dei cristiani, animati come erano e, forse, come siamo anche noi oggi, da una fede che, se dalla Chiesa era iniziata e nella Chiesa si sviluppava, in essa solo si esauriva. Oggi una così riduttiva interpretazione del rapporto fede-storia è stata superata; nuovi orizzonti si aprono al cristiano che da laico volesse animare i suoi normali ambienti di lavoro. Egli ora sa di essere una persona a servizio del regno, ove per regno non si intende esclusivamente la comunità ecclesiale, ma anche i segni di Dio, i segni dei tempi presenti nella intera storia umana.

 

 

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Parte seconda

Per le riforme istituzionali

 

Agli anni della maturità vanno riferiti gli articoli compresi in questa seconda parte e relativi al 2013 e 2014. Pubblicati su “landino.it”, il blog promosso nel 2007 da fucini militanti tra gli anni settanta e novanta come “strumento aperto di dialogo e discussione sulla Chiesa, la società, la politica e la cultura”, sono stati riprodotti anche su quotidiani e su “Noi Dem Salerno” (“noidemsa.wordpress.com”), blog ideato da Giovanni come “ausilio ‘artigianale’ di ascolto e confronto delle tante e laboriose voci di ‘democrazia diffusa’ presenti nella società locale e nelle sue istituzioni”, collegato all’associazione “Nonunodimeno per il Partito Democratico”.

Sono riflessioni relative a un periodo che va dalla sconfitta elettorale di Bersani del 2012 alle primarie del dicembre 2013, che sanciscono l’ascesa di Renzi alla guida prima del partito e poi, dal febbraio successivo, del governo. Si tratta di quella che potrebbe costituire la svolta, l’avvio finalmente di un processo riformatore delle istituzioni e della forma partito, ma prima le resistenze, soprattutto quelle interne al Pd a livello nazionale come a quello locale, e infine l’esito del referendum costituzionale del dicembre 2016 ne decretano il sostanziale fallimento. Come di consueto, l’atteggiamento di Giovanni è quello di spingere per il cambiamento, di provare a capovolgere schemi consolidati per favorire partecipazione effettiva. Oltre agli articoli, è trascritto anche il suo intervento alla presentazione del libro di Marco Damilano Chi ha sbagliato più forte. Le vittorie, le cadute, i duelli dall’Ulivo al PD, da lui organizzata e svoltasi nel gennaio 2014 alla Camera di Commercio di Salerno, con gli interventi dello stesso autore, di Arturo Parisi e Alfonso Andria. Negli stessi anni promuove, in collaborazione con il MEIC di Salerno, numerose altre occasioni di confronto e riflessione svolte in città e presso l’Università degli Studi di Salerno, come nel dicembre 2014 la presentazione del libro di Salvatore Vassallo Liberiamo la politica, nel gennaio 2015 la presentazione del libro di Luca Diotallevi L’ultima chance. Per una nuova generazione di cattolici in politica e nell’aprile 2016 del libro di Stefano Ceccanti La transizione è (quasi) finita. Particolarmente densa è stata la sua attività durante la campagna per il referendum del 2016, come in occasione dell’incontro di novembre da lui promosso in collaborazione con le Acli di Salerno con Paolo Pombeni. Infine, l’avvicinamento alla associazione di cultura politica “Libertà Eguale”, associazione di riformisti che intende contribuire al processo d’innovazione politica, culturale e programmatica del Partito Democratico e delle altre forze riformiste del centrosinistra italiano e promuovere la riorganizzazione del campo democratico.

Con questa pubblicazione e con la giornata di studio organizzata nel ricordo di Giovanni intendiamo proseguire quel dialogo ideale, prematuramente interrotto, sempre caratterizzato dall’incessante impegno culturale per il miglioramento della cultura politica e della partecipazione democratica.

(Giovanni Carlo Bruno, Alfonso Conte, Fulvia Zinno)

Il Pd e le resistenze interne al cambiamento

 

A distanza di un anno dalle primarie di coalizione del 2012 ed in vista delle primarie aperte del 2013, si propone finalmente al voto di iscritti ed elettori un set di candidature nuove con Civati, Cuperlo e Renzi.

Nessuna di esse è “espressione” di componenti che dai Pds/Ds/Popolari/Margherita hanno orientato, dal campo del centrosinistra, la vita politica ed amministrativa del Paese di questo ultimo ventennio.

Nuovi “volti” si contendono quindi la guida del Pd, il cui “ambiente interno” è tuttora vittima e consunto da perduranti logiche feudali, a volte settarie, oltre che tramortito dalla grave sconfitta politico/elettorale del 2013.

All’esito di questa vicenda, il Pd di Bersani ed Epifani si trova, con Letta, alla guida di un Esecutivo “leggero”, inadatto per “stazza” e composizione della “ciurma” a navigare in mari tempestosi; gravato da irrisolti problemi di credibilità (Berlusconi, Cancellieri) che lo “distraggono” da una “gestione” autorevole della feroce crisi sociale/economica che avviluppa dal 2008 l’Italia.

Tratti limacciosi di questa realtà sono attivi nel Pd. Hanno una propria logica, pesano come un macigno. Tanto più virulenti in queste giornate. “Adesso” che si sentono aggrediti e (in parte) superati da una competizione che, per la prima volta dal 2007, “salda” procedure aperte ai cittadini (elettori ed iscritti) e attori nuovi, non compromessi col passato.

Le primarie del prossimo 8 dicembre, per il modo in cui questa volta sono andate configurandosi, dovrebbero attutire gli effetti delle odiose manovre da “saltimbanchi”, che a Salerno come altrove persistono da tempo.

Esse si acutizzano in questa fase di ricambio del gruppo dirigente nazionale, che sconvolge abitudini ed alleanze consolidate tra Roma ed i territori, dove flebili correnti svaporano e si ricondensano in costellazioni di corposi interessi locali.

Dinanzi al trittico italico – costituito da depressione che montagiovani leader che “osano”, oligarchie territoriali che tentano “di afferrare i vivi” – , sbaglia chi, sulla scia di un D’Alema “grillino” ed accidioso (strumentalmente dimentico di quale sia l’effettivo “film in via di svolgimento”) riduce e riconduce l’intera vicenda della primarie e del PD ad una trama in cui cambierebbero solo i protagonisti, con il “pifferaio” Renzi a guidare le solite danze.

Le distorsioni provocate da apparati locali “in cerca di nuovo autore”, che utilizzano tessere/quote di iscritti per “orientare e/o distorcere il voto” sono invece un fenomeno reattivo e adattivo al nuovo ambiente politico che, in via di gestazione ed orientato dagli umori dell’opinione pubblica, minaccia di scalzare la vecchia guardia.

Con Civati, Cuperlo e Renzi ci sarà ovviamente un PD nuovo, quanto meno nel gruppo dirigente di vertice.

La loro ambizione ad una leadership di “rottura”, interpretata con particolare vigore da Matteo Renzi, è ovviamente espressiva di una domanda diffusa ed impietosa di riforme della politica e delle istituzioni (costi, numero di parlamentari, duplicazioni di istituzioni, finanziamento pubblico).

Questa, veicolata da una procedura che responsabilizza il segretario/candidato premier prescelto dal voto dei cittadini, pone i tre candidati in naturale contrapposizione a chi cerca di trascinarli nella palude dell’eterno ritorno all’identico, di ciò che si trasforma per non cambiare.

Possiamo interrogarci sulla profondità di questo cambiamento, sulle sue virtualità, non sulla sua effettività.

Una buona partecipazione alle primarie darà ovviamente vigore all’attuazione del rinnovamento promesso e richiesto.

Tuttavia, in questo tratto finale di strada, i numeri e l’intensità del coinvolgimento dei cittadini saranno maggiori se i candidati tutti e, in particolare, quelli con più chance di successo non attenueranno il loro profilo innovativo: se cioè non rilanceranno “scriteriate” ed infondate descrizioni raffiguranti probabili leader al soldo di potentati locali; né forniranno la minima impressione di assecondare “irregolari” tentativi di salire sul carro del probabile vincitore.

Non verrebbero compresi eventuali e protratti tentennamenti dinanzi ad operazioni che riportano indietro le lancette dell’ora al medesimo punto da cui faticosamente e con ritardo ci si è cominciati a muovere.

Si riaprirebbe così nel Pd la stagione delle nebbie, dell’azzoppamento del leader (Veltroni e Prodi docet) e, con esso, della possibilità di un partito più aperto perché non presidio di una oligarchia imperitura ed inconcludente.

(22 novembre 2013)

 

 

(…omissis…)

 

Intervento introduttivo in occasione della presentazione del libro di

Marco Damilano, Chi ha sbagliato più forte. Le vittorie, le cadute e i duelli dall’Ulivo al Pd

 

Il libro di Marco Damilano fornisce una descrizione delle vicende salienti del centrosinistra, di cui lo stesso autore è stato partecipe e coinvolto nella qualità di osservatore interessato. Il libro è immerso nella storia politica di cui tratta. Molto immerso: la cosa non è nascosta, è voluta e cercata. Questo atteggiamento del racconto di chi si muove sul suolo avvallato, a volte infido di questo ventennio, si esprime felicemente attraverso le parole di Arturo Parisi, che del racconto è testimone qualificato, perché della vicenda è stato ideatore e facitore impersonando i tratti migliori, prima come ispiratore dell’Ulivo, poi come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del primo governo dell’Ulivo presieduto da Romano Prodi, fondatore dell’Asinello, animatore dell’atto referendario prima con Segni, poi con Guzzetta e Fini e poi con la campagna per il recupero del Mattarellum: insomma, interlocutore privilegiato nel testo in quanto protagonista centrale del tema del racconto.

L’inerenza della sua persona alle speranze, alle fatiche, alle ripartenze collegate a questa storia, che lui dialetticamente ritiene finita e solo in quanto tale meritevole di un’altra migliore vita, dicevo questa inerenza spiega l’invito rivoltogli, prontamente accolto, a discutere qui con noi delle ambizioni, realizzazioni e limiti del progetto, e delle occasioni perdute, del Partito Democratico. La sua presenza, la presentazione del libro costituiscono una preziosa occasione per accennare ad una interpretazione plausibile della parabola disegnata dalla Seconda Repubblica, parabola che in uno al bipolarismo da alternanza ci ripropone una società priva di mobilità sociale, finanza pubblica dissestata, un apparato istituzionale da riformare e soggetti politici fragili. Uno dei quali, mi riferisco al Pd, ha svolto la propria funzione maggioritaria al di sotto della sufficienza, in chiave identitaria, schiacciato sulla rappresentanza minoritaria di un insediamento sociale incline alla conservazione, legato alla intermediazione dello Stato centrale e territoriale, di cui anche il Pd della provincia di Salerno, con l’aggiunta di una marcata deriva familistica, continua tutt’ora ad essere segno. Tuttavia, forse proprio a causa della sconfitta politica del 2013 e della vergogna per i 101 mancati grandi elettori democratici di Prodi, le virtualità si sono riattivate con le primarie del 2013, le prime primarie effettivamente competitive, nelle quali a differenza delle precedenti si sono combinati un set di candidati nuovi e procedure di voto effettivamente aperte, non filtrate; fattori che hanno favorito e disincagliato la partecipazione di migliaia di cittadini democratici, cittadini desiderosi di vincere, oltre che indignati per l’inettitudine dei gruppi dirigenti del PD. Il cui assetto oligarchico da patto di sindacato ha trasformato una vittoria attesa in una sconfitta politica, con tutto quello che ne è seguito. Virtualità colte e reinterpretate dalla determinazione di Matteo Renzi, da una leadership finalmente imprenditiva, consapevole che siamo già fuori tempo massimo con istituzioni delegittimate ed inefficienti, fonte per come sono organizzate e gestite di rischi per la tenuta dell’ordine politico e sociale. Ordine sociale già di per sé appesantito dalla duratura recessione economica e da marcate diseguaglianze.

La vicenda del libro ha avuto risvolti nazionali, ma è al contempo innervata nei territori. Alfonso Andria, presidente dell’associazione “Personae territori”, promotore con “Nonunodimeno” di questo incontro, già ministro del governo ombra voluto da Veltroni nel 2008, di questa dimensione territoriale è stato ed è riferimento importante. Lo è stato in particolare nella qualità di presidente della Provincia di Salerno alla guida di una delle prime alleanze uliviste per il governo degli enti locali, espressione in uno all’amministrazioni municipale di De Luca, dichiarata in queste ore decaduta dal Tribunale per l’incompatibilità del suo sindaco, espressione di quella stessa stagione di sindaci e amministratori locali che i partiti dell’Ulivo hanno guardato con sospetto e alla quale la nuova guida del Pd non manca di riferirsi. Gli argomenti e le questioni da trattare sono molti, anche alla luce del deposito del testo base sulla riforma elettorale presentato da Matteo Renzi e del suo progetto di riforma del Senato.

(24 gennaio 2014)

 

 

Il voto al PD per una Unione Europea da cambiare

 

Dal 22 al 25 maggio sono chiamati al voto 400 milioni di cittadini di 28 Paesi europei per eleggere 750 parlamentari.

All’esito di questa tornata elettorale sarà il Parlamento Ue ad eleggere per la prima volta il presidente della Commissione europea (l’organo esecutivo dell’Unione), sulla base di una proposta di nomina avanzata dal Consiglio Ue che, in base al Trattato di Lisbona, dovrà tener conto dei risultati del voto.

Si tratta di un parziale, ma significativo accrescimento dell’efficacia riconosciuta al voto popolare, che condizionerà in senso democratico l’esercizio del potere di proposta del Consiglio Ue.

Esso favorirà lo slittamento di una quota di kratos dall’ambito intergovernativo/nazionale (Consiglio europeo) al demos europeo, a quell’arena cioè espressiva della cittadinanza europea (Parlamento Ue).

Quest’ultimo, votato direttamente dai cittadini e abilitato ad eleggere il vertice della Commissione Ue, responsabilizzerà l’azione di quest’ultima dinanzi ai suoi elettori e non soltanto dinanzi a quelle istituzioni espressive delle sole sovranità nazionali.

Gli esiti “socio-economici” della contesa in atto tra “istituzioni Ue in precario ed inefficiente equilibrio” sono stati richiamati da Prodi a Shanghai: “l’Europa da qui appare piccola, figurarsi l’Italia”. Egli ha “felicemente” sintetizzato le questioni che segnano la vicenda del “vecchio” continente scuotendone certezze consolidate e ambizioni d’altri tempi rilevanti: globalizzazione a trazione asiatica, l’Europa come prevalente espressione geografica, destino delle piccole patrie.

Anche in Italia, come altrove, lo scontro politico-elettorale si è instradato lungo il citato discrimine – assetti intergovernativi versus integrazione politica –.

E si è addensato sull’azione del governo Renzi, premier e leader del Pd: più specificatamente sulle riforme volte a dotare l’Italia di istituzioni democratiche funzionanti, adeguate ai compiti richiesti da una Unione europea meno introversa, dimensionata cioè sulla sfida proveniente dalle potenze asiatiche dell’estremo oriente e dai flussi migratori sul fronte sud.

Sotto attacco si trovano il governo Renzi, gli Esecutivi dei 28 paesi Ue ed i partiti che ne sostengono le sorti, assemblati dalla critica loro rivolta di essere responsabili (a diverso titolo) della gestione intergovernativa della lunga crisi cominciata nel 2008.

E tuttavia, attraverso la critica ai governi in carica, la caccia grossa mira alla funzione stessa di governo, all’idea di democrazia governante su scala statale e comunitaria, in cui la partecipazione dei cittadini non evapora in una delega “appesa”, priva di agganci organizzativi, inabile ad istituire poteri e contrappesi.

Tale proposito di destrutturazione dei poteri democratici esistenti (Le Pen e Grillo) o di freno al consolidamento di poteri democratici su scala sovranazionale (Merkel) pare avvicinare attori diversi per caratura e credibilità, ciascuno dei quali ritiene di ritagliare per sé ed i “suoi” uno “spazio vitale” al riparo da turbolenze ambientali.

Per sconfiggere queste alleanze spurie, queste coalizioni negative animate da ri-sentimenti nazionali di varia natura, servono grandi forze politiche europee e non antieuropee, costruttive e non dissipative, produttrici di intese che favoriscano la crescita comune, non la manutenzione contabile della crisi.

La continuità nella modalità intergovernativa di gestione della crisi o l’avanzamento della integrazione politica sostenuta da un patto per lo sviluppo dipenderà da quali delle due grandi forzi europee (PSE, PPE) prevarrà.

Solo la vittoria del centrosinistra europeo, del PSE (di Schulz in Europa e di Renzi con il Pd in Italia) potrà però consentire la liberazione propositiva di quel potenziale democratico di cui l’Europa è tuttora capace e fugare definitivamente i rischi incombenti di un salto nel buio.

(24 maggio 2014)

(…omissis…)

 

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Indice

 

Ricordando Giovanni

 

Parte prima - La politica come mediazione

Mediazione tra cultura e politica: il nuovo problema della Chiesa italiana

Sinodo ‘80: quale famiglia?

La Pasqua oggi

Il Concordato

La crisi di cultura nella società moderna

Una mediazione culturale nel pluralismo ideologico dei tempi moderni

 

Parte seconda - Per le riforme istituzionali

Il Pd e le resistenze interne al cambiamento

Votiamo Renzi, ma la lista di Landolfi non ci piace

Intervento introduttivo in occasione della presentazione del libro di Marco Damilano

Il voto al PD per una Unione Europea da cambiare

La “Fonderia delle Idee” tra gli accampamenti cosacchi

Lumaconi e Velociraptor. Le Primarie in Campania

 

 

 

 

 

 

 

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