Il disincanto del mondo e la sfida di Ratzinger

di Paolo Flores D’Arcais Pubblichiamo un brano tratto dal libro di “La sfida oscurantista di Joseph Ratzinger” in uscita da Ponte alle Grazie Ratzinger ha scommesso sul fallimento del post-Illuminismo (liberale, socialista, democratico) in cui noi speravamo di vivere, che prometteva in nome della scienza e di una umanità libera l´appagamento nell´aldiquà, la sicurezza e lo sviluppo per tutti e per ciascuno. Il papa della Reconquista vede la grande chance per la Verità cattolica nell´impasse di una finitezza senza futuro, che concede a ogni sapiens sapiens solo l´hic et nunc del consumo immediato ed effimero, ma sottrae qualsiasi spessore di senso, qualsiasi radicamento di storia, qualsiasi identità collettiva di solidarietà. Si allungano le aspettative di vita, la medicina consente di prolungare il bios dei corpi organo per organo, ma si dilatano, anziché contrarsi, le paure legate alla nostra materialità: non solo la malattia, la sofferenza, e una morte che anche procrastinata sembrerà prematura, ma l´incubo dell´inadeguatezza, in una hybris asintotica di chirurgia estetica che non darà mai appagamento. Una modernità «sazia e disperata», come ebbe a dire il cardinal Biffi, si offre allo sguardo del papa teologo quale terra di conquista per una crociata capace di offrirle già oggi la zattera di ciò che le manca, speranza identità e comunione, e domani addirittura un accogliente porto sicuro, se farà il passo cruciale della conversione, il «salto mortale» dalla libertà all´obbedienza. Questa la convinzione e la scommessa. Il mondo annaspa, addirittura è ormai esso stesso «liquido», la Chiesa è invece promessa di terra ferma. Ratzinger ha capito tutte le debolezze del suo nemico. In apparenza la secolarizzazione ha trionfato. In realtà, se tracolla la speranza della giustizia nell´aldiquà viene meno il futuro stesso, e ritorna ovvio e prepotente il primato della Salvezza (quale che sia). Finché c´è lotta c´è speranza, infatti, ma è vero anche il contrario, e poiché solo la lotta-speranza fornisce identità e senso, con l´estinguersi di ogni speranza-lotta si apre il vaso di Pandora delle identità surrogatorie alla speranza perduta. Sacre o profane che siano, ma quelle sacre possiedono il non trascurabile valore aggiunto dell´eternità. Aggiungiamo qualche dettaglio. Sul piano più strettamente politico, si pensi alla crisi del welfare. Chi si affaccia alla vita adulta appartiene alla prima generazione (da secoli!) che vive peggio dei propri genitori. L´Europa è in crisi prima ancora di nascere davvero, visto che ha «integrato» al ribasso, in fatto di diritti sociali, la Gran Bretagna prima e gli Stati dell´est poi. Ernst-Wolfgang Böckenförde ha di che maramaldeggiare con il suo «lo Stato liberale e laicizzato si nutre forse di propositi normativi che esso non è di per sé in grado di garantire?». Aggiungiamo il venir meno del comunismo, ottimo in sé. Era anche, però, l´alibi che ha consentito alle democrazie realmente esistenti di non dover render conto – fino alla scorsa generazione – dei «tradimenti» verso i propri principî. Ora sono chiamate al redde rationem del promesso «perseguimento della felicità», ricamato nelle costituzioni e oltraggiato nei bassifondi della quotidianità di governo. Perfino più importante quanto Ratzinger è capace di lucrare sul versante culturale della modernità in crisi, squassata dalle aporie che mettono a repentaglio i suoi due architravi, la scienza e l´universalismo. La scienza, in primo luogo. Che nel suo uso pratico, nella sua «implementazione» come tecnica, non ha mantenuto e anzi ha contraddetto le speranze suscitate. Sotto un duplice profilo: il controllo sempre più pervasivo dell´uomo sulla natura, propiziato da un progresso tecnologico esponenziale, anziché diffondere sicurezza, scatena un sabba di timori, fino al catastrofismo, giustificati dalla dismisura incontrollata, irrazionale, ecologicamente distruttiva del suo incedere. Esso, d´altronde, anziché diffondere una ricchezza più equamente distribuita, accresce in modo abissale la voragine della diseguaglianza (tra i paesi e all´interno di ciascuno). Le due «eterogenesi dei fini» fanno anzi sinergia. In realtà la scienza è incolpevole, se intesa come ricerca matematizzata ed empirica dei «segreti» della natura. Panico e rabbia, più che fondati, nascono dall´uso asociale, per profitto e per potere, che ne fanno gli establishment. L´universalismo, in secondo luogo (ma non certo per importanza). Di fronte alla incapacità o non volontà dei governi di fornire i presupposti materiali e culturali dell´eguaglianza, e al declinare dei movimenti di lotta che la mantengano all´ordine del giorno come valore per tutti (immigrati compresi), fa strage di cuori la sirena del multiculturalismo, la bandiera dell´eguale dignità che dalle singole irripetibili esistenze che tutti noi siamo, emigra (è il caso di dirlo) alle comunità etnico-culturali. Metamorfosi niente affatto innocua, perché una comunità può essere libera e rispettata, senza che liberi e rispettati siano gli individui che vi appartengono. Il che accade puntualmente per ogni «cultura» illiberale e patriarcale (fino alle identità di fede, sangue, suolo), dove lo slogan accattivante dell´«eguale riconoscimento» occulta rinnovate servitù, fossero anche «volontarie». Della donna, in primo luogo. (articolo tratto da “La Repubblica” del 4 novembre 2010, pag.49)

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