Il cattolico antifranchista che piaceva a don Sturzo
Il cattolico antifranchista che piaceva a don Sturzo da "il Riformista" di oggi Ramon Sugranyes. Catalano, è morto pochi giorni fa. Rifiutò di combattere "per Cristo Re" e non fu assolto dal confessore. Ma il fondatore del Ppi incoraggiò la sua scelta di Stefano Ceccanti C'era una "terza Spagna", dei "pompieri" contro gli incendiari, come ha spiegato lo storico Paul Preston, il cui destino nella Guerra Civile poteva essere racchiuso quasi solo nell'opzione tra l'essere uccisi dai franchisti o dai repubblicani. Di questa Terza Spagna erano componente decisiva la gran parte dei cattolici baschi e catalani, tanto fieramente cattolici quanto orgogliosamente antifranchisti. Ramon Sugranyes De Franch, morto da qualche giorno quasi alla vigilia dei suoi cento anni, sfuggì a questo destino, ma solo perché, a causa di un invito a un convegno giovanile a Ginevra, riuscì a partire in tempo per la Svizzera, il 23 agosto 1936. Lì, nel novembre successivo, come si legge dal libro-intervista realizzato dal monaco benedettino di Montserrat Hilari Raguer (“Dalla guerra di Spagna al Concilio. Memorie di un protagonista del XX secolo”) andò a confessarsi da un prete catalano, il quale lo preavvisò che non l’avrebbe assolto se non gli avesse promesso di tornare in Spagna a combattere con i franchisti. Questo lo splendido (e tragico) dialogo in confessionale: “Quanti anni hai?” “Mi scusi, ma io vengo a confessare i miei peccati, non a dichiarare il mio stato civile”. “Non hai forse l’età militare? Perché non vai a lottare per Cristo Re?” “Non sono venuto qui per parlare degli avvenimenti del nostro paese, bensì dei miei peccati”. “Se non vai a combattere per Cristo Re non posso darti l’assoluzione”. “Allora mi perdoni, ma io me ne vado” Ramon andò allora a consigliarsi da un altro sacerdote, il futuro cardinale Charles Journet: “Mi incoraggiò ad agire secondo la mia coscienza senza lasciarmi influenzare da condizionamenti esterni. Non è con la forza delle armi che il regno di Cristo verrà sulla terra”. Il grande teologo, amico di Giovanni Battista Montini, l'altro grande personaggio del libro-intervista, gli dice anche di scrivere a Don Luigi Sturzo, che così, tra l'altro, gli replica «La Chiesa di Spagna, che avrebbe dovuto fare opera di pace si è per lo più allineata con una delle parti, fino a definire la guerra una crociata o guerra santa. Da quella stessa parte si trovano i latifondisti, gli industriali, la classe ricca, coloro che hanno la maggiore responsabilità nell’abbandono della classe lavoratrice nelle mani dei sovversivi, perché si sono opposti a tutte le riforme sociali tentate nel nome del cristianesimo, degli insegnamenti di Leone XIII e del movimento della democrazia cristiana... Secondo me, solo i cattolici e i preti che si saranno tenuti fuori dal conflitto potranno fare opera di pacificazione...Comprendo assai bene la sua angustia di spirito nell'isolamento in cui si trova e quando il non parteggiare può sembrare viltà e il parteggiare ripugna alla coscienza. La voce che Lei deve sentire è quella della coscienza. Se questa non sente di poter prendere parte con coloro che si macchiano di sangue fraterno dalle due parti, quale possa essere il suo avvenire personale, anche quello dell'esiliato, ella dovrà seguire la voce della sua coscienza" ». L'esilio di Ramon non fu quindi una fuga purista, fu, sulla base di queste riflessioni di Sturzo, l'inizio di “un compromesso per la pace e la giustizia”. La storia di Ramon si incrociò anche con quella di un altro grande catalano della "Terza Spagna", il cardinale Vidal i Barraquer, esiliato prima dai repubblicani e poi da Franco, con Maritain e Montini, intorno al Movimento internazionale Pax Romana, alla Fuci e al Movimento Laureati. Proprio Montini, diventato Papa, decide di nominarlo come uditore laico al Concilio Vaticano II, uno dei tanti schiaffi che dal Concilio arriveranno al Generale Franco (quelli successivi saranno la dichiarazione sulla libertà religiosa e l'opzione preferenziale per la democrazia contenuta nella "Gaudium et Spes"). Franco, peraltro, in Consiglio dei Ministri si era disperato, conoscendo la cultura democratica e le frequentazioni di Montini, già all'annunzio della sua elezione. E qui la testimonianza di Sugranyes è preziosa perché dimostra la fondatezza dell'interpretazione di Samuel Huntington secondo cui la terza ondata di democratizzazione si sviluppa a partire dai Paesi cattolici per l'impatto del Vaticano II. Paolo VI decide di rimpiazzare i vescovi allineati al regime attingendo al clero conciliare, ma c'è un problema, secondo le norme concordatarie per le nomine degli arcivescovi, dei vescovi residenziali e dei coadiutori con diritto di successione, occorre il consenso del Governo. La soluzione è prontamente e preventivamente spiegata a Ramon da Luigi Dadaglio, nunzio dal 1967 al 1980, poi cardinale: "La mia politica è molto chiara: ogni mese nomino un vescovo ausiliare e così fra due anni la maggioranza della conferenza episcopale dello Stato spagnolo avrà cambiato campo". La Chiesa anticipa così la transizione democratica, la sua rapida evoluzione consente di accompagnarla in modo non violento e non traumatico per avere finalmente un paese in cui tutti potessero riconoscersi. Quella fuga del 1936 ha aiutato, per vie misteriose, a preparare in modo decisivo il 1978.
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