Il cattolicesimo politico come antidoto al populismo, di Giorgio Armillei

Era inevitabile e per molti versi anche auspicabile. Il centenario dell’Appello ai liberi e forti di Sturzo ha messo in moto una discussione pubblica su cattolici, politica e classe dirigente. Inevitabile: è il centenario di un evento cruciale nella storia politica del Novecento. E auspicabile: la semplificazione nazionalpopulista intorno a élite e classi dirigenti è oltre il livello di guardia, urgono alternative.

Grande è l’attualità del popolarismo sturziano in una fase politica schiacciata tra nazionalismo identitario e afasia della sinistra, dice Galli della Loggia sulla prima pagina del Corriere della sera del 18 gennaio. Una ripresa del cattolicesimo politico in questa versione significherebbe creare un’alternativa popolare all’ondata populista e provare a pescare nuovi brani di classi dirigenti nel mondo cattolico, ancora (forse) ricco di personalità e di preparazione.

Messa così non può funzionare, gli replica Panebianco due giorni dopo. Se ripresa del cattolicesimo politico significa rimettere in piedi un partito di cattolici, magari approfittando della fase proporzionalistica del nostro sistema politico, siamo decisamente fuori tempo massimo. Quindi niente partito di cattolici anche se – c’è un anche se – pensarci vuol dire implicitamente porsi un problema reale a monte: dove e come riprodurre classi dirigenti per il paese?

Se dunque un partito di cattolici è oggi fuori tempo massimo, Sturzo è consegnato ai libri di storia? No, dice Luca Diotallevi intervenendo su Avvenire. Il popolarismo di don Sturzo è tremendamente attuale perché capace oggi di isolare una frattura che è nelle cose e soprattutto di calarsi in quella frattura per sostenerne una delle parti che la identificano. La sintesi sturziana tra ispirazione cristiana e liberalismo anglosassone resta dunque spendibile e in grado di contrapporre popolarismo – con leader e partito - a populismo. Ciò di cui il paese ha bisogno.

Anche Civiltà cattolica entra nel dibattito. E lo fa con accenti apparentemente diversi al suo interno. Spadaro prova a disincagliare la nozione bergogliana di popolo dall’abbraccio del populismo. Ma cammina sul filo del rasoio. L’appello finale è chiaro: tornare ad essere popolari. I mezzi proposti per farlo sono molto meno netti, in un certo senso anche un po' confusi. Il fumo del populismo si incunea. Ecco i sette punti della sua riflessione. Entrare in contatto con la paura; pensare a un ordine mediterraneo; discernere lo spaesamento indotto dai flussi migratori; far parlare il popolo-nazione e non i “caminetti” delle élite; trovare spazio per i social network nel discorso della democrazia rappresentativa; innestare nelle attuali forme di partecipazione democratica, attraverso i movimenti popolari, l’attaccamento al territorio, alla realtà quotidiana, al quartiere, al locale, al lavoro comunitario; usare le tre T (tierra, techo y trabajo) terra, casa e lavoro di Papa Francesco per dare dignità a un mondo che altrimenti resta in mano agli uomini Davos. Tutto questo attraverso un rilancio della sinodalità della Chiesa. La sinodalità come paradigma per un grande esercizio di discernimento che possa neutralizzare elitismo e populismo.

Più concretamente Occhetta scava invece nella biografia politica di Sturzo per mettere in luce il carattere democratico, liberale, sociale e cristiano della sua proposta a partire dalla crisi dello Stato che non è soltanto degenerazione totalitaria ma anche monopolio, accentramento, invadenza. Il cristianesimo ha seguito tre strade per rendere pubblicamente rilevante la fede nelle democrazie del Novecento: il partito aconfessionale di ispirazione cristiana, l’aggregazione dentro partiti plurali, la presenza individuale di cristiani all’interno di partiti privi di riferimenti ideologici forti. Oggi un partito dei cattolici è del tutto anacronistico, dice Occhetta, la questione principale risiede infatti nel cosa, nell’agenda politica per il paese che i cattolici sono chiamati ad approfondire e valutare mediante un grande e condiviso lavoro di discernimento. In questo senso occorre fare i conti con i populismi, riconoscendo cosa li ha generati e li alimenta, interpretando lo stallo nel quale il Paese sembra piombato e scegliendo le questioni più urgenti con le quali umanizzare la politica, secondo gli spunti del pontificato di Papa Francesco. Anche Occhetta cammina sul filo del rasoio: il centrismo di Sturzo, ci dice, può essere oggi attuale come meta-categoria in cui fare sintesi di istanze diverse: destra, sinistra, sovranismo, europeismo. A condizione di conservare tre pietre angolari: Costituzione, dottrina sociale della Chiesa e orizzonte europeo. Ma il cosa non basta, ci vuole anche il chi, la formazione di categorie dirigenti, il tema di Panebianco. E per questo la ricetta è fatta di reti e forum civici per mettere in relazione i cattolici e le loro espressioni associative e farli almeno incontrare e confrontare.

Fin qui il dibattito sommariamente riassunto. Altrettanto sommariamente qualche punto fermo.

1. La tradizione cattolico liberale e cattolico democratica è inequivocabilmente anti populista. Non trovano spazio al suo interno né gli arroccamenti nazionalistici né le scorciatoie antiparlamentari. Non c’è critica anti elitista quanto piuttosto fiducia nella capacità della democrazia liberale di rinnovare, sostituire e far circolare le élite. Nazione e popolo, fuori dai contesti istituzionali e riferite a entità precostituite, sono parole sospette. In altri termini ragionare come se “non potessimo lasciare il popolo ai populisti” è assai fragile e finisce con l’accettare il frame imposto dai populisti. Il popolo nel cattolicesimo liberale non è unità che si fa potere democratico ma pluralità che si fa bilanciamento di poteri.

2. I cattolici praticanti sono elettoralmente dispersi e elettoralmente mobili: tutti gli analisti lo confermano, ITANES, Ipsos, Cattaneo, LaPolis. Nella democrazia del pubblico le relazioni tra appartenenze sociali e comportamenti di voto sono irreversibilmente fluide. E straordinariamente condizionate dalla capacità di leader e partiti di imporre l’agenda e rendere elettoralmente salienti le questioni. Insomma, è l’offerta a fare la domanda.

3. Si afferma in via di fatto ciò che si vuole essere un principio: il pluralismo politico dei cattolici. Dice infatti il Concilio Vaticano II a proposito della presenza dei cattolici nella vita pubblica: “Per lo più sarà la stessa visione cristiana della realtà che li orienterà, in certe circostanze, a una determinata soluzione. Tuttavia, altri fedeli altrettanto sinceramente potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, come succede abbastanza spesso e legittimamente.” E soprattutto aggiunge: “Ché se le soluzioni proposte da un lato o dall'altro, anche oltre le intenzioni delle parti, vengono facilmente da molti collegate con il messaggio evangelico, in tali casi ricordino essi che nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l'autorità della Chiesa.” (Gaudium et Spes).

4. Il discernimento non è un esercizio solo individuale. Interpretare e scegliere è anche una prassi collettiva, propria di luoghi e contesti diversi, strettamente ecclesiali e propriamente secolari. Il punto critico è la capacità di creare connessioni e dialoghi tra questi luoghi e contesti. Connessioni non deduttive (insostenibili sul piano dei principi e irrealizzabili su quello storico concreto) ma fecondamente conflittuali. L’ambiente ecclesiale ne dispone in abbondanza: dall’Azione cattolica come espressione dell’associazionismo laicale, alle Consulte per le aggregazioni laicali, alle Settimane sociali dei cattolici, alle realtà che si aggregano dal basso. La loro debolezza non si supera però consegnandole al passato, inventandone ciclicamente di nuove o dando per tramontata ogni dimensione sovraindividuale del discernimento.

Insomma, Sturzo è una miniera ancora da sfruttare. Può funzionare contrapporre populismo a popolarismo ben inteso. I luoghi del discernimento sono essenziali per rendere feconda storicamente la presenza del laicato cattolico. Il partito di cattolici, il partito cattolico, il partito dei cattolici sono strade del tutto inattuali. Ma senza una cura specifica – teorica e pratica - per la dimensione organizzativa la mediazione individuale rischia di diventare irrilevante. Le responsabilità della Chiesa e di tutti i cattolici verso il paese sono perciò enormi oggi più che mai.

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