Giovanni Celenta sulle ragioni del voto al Pd alle europee

Il voto al Pd per una Unione europea da cambiare Dal 22 maggio al 25 maggio sono chiamati al voto 400 milioni di cittadini di 28 Paesi europei per eleggere 750 parlamentari. All’esito di questa tornata elettorale sarà il Parlamento Ue ad eleggere per la prima volta il presidente della Commissione europea (l’organo esecutivo dell’Unione), sulla base di una proposta di nomina avanzata dal Consiglio Ue che, in base del Trattato di Lisbona, dovrà tener conto dei risultati del voto. Si tratta di un parziale, ma significativo accrescimento dell’efficacia riconosciuta al voto popolare, che condizionerà in senso democratico l’esercizio del potere di proposta del Consiglio Ue. Esso favorirà lo slittamento di una quota di Kratos dall’ambito intergovernativo/nazionale (Consiglio europeo) al Demos europeo, a quell’arena cioè espressiva della cittadinanza europea (Parlamento Ue). Quest’ultimo, votato direttamente dai cittadini e abilitato ad eleggere il vertice della Commissione Ue, responsabilizzerà l’azione di quest’ultima dinanzi ai suoi elettori e non soltanto dinanzi a quelle istituzioni espressive delle sole sovranità nazionali. Gli esiti “socio-economici” della contesa in atto tra “istituzioni Ue in precario ed inefficiente equilibrio” sono stati richiamati da Prodi a Shanghay - ”.. l’Europa da qui appare piccola, figurarsi l’Italia..” -. Egli ha “felicemente” sintetizzato le questioni che segnano la vicenda del “vecchio” continente scuotendone certezze consolidate ed ambizioni d’altri tempi rilevanti: globalizzazione a trazione asiatica, l’Europa come prevalente espressione geografica, destino delle piccole patrie. Anche in Italia, come altrove, lo scontro politico-elettorale si è instradato lungo il citato discrimine - assetti intergovernativi versus integrazione politica -. E si è addensato sull’azione del governo Renzi, premier e leader del Pd: più specificatamente sulle riforme volte a dotare l’Italia di istituzioni democratiche funzionanti, adeguate ai compiti esigiti da una Unione europea meno introversa, dimensionata cioè sulla sfida proveniente dalle potenze asiatiche dell’estremo oriente e dai flussi migratori sul fronte sud. Sotto attacco si trovano il governo Renzi, gli Esecutivi dei 28 paesi Ue ed i partiti che ne sostengono le sorti, assemblati dalla critica loro rivolta di essere responsabili (a diverso titolo) della gestione intergovernativa della lunga crisi cominciata nel 2008. E tuttavia, attraverso la critica ai governi in carica, la caccia grossa mira alla funzione stessa di governo, all’idea di democrazia governante su scala statale e comunitaria, in cui la partecipazione dei cittadini non evapora in una delega “appesa”, priva di agganci organizzativi, inabile ad istituire poteri e contrappesi. Tale proposito di destrutturazione dei poteri democratici esistenti (Le Pen e Grillo) o di freno al consolidamento di poteri democratici su scala sovranazionale (Merkel) pare avvicinare attori diversi per caratura e credibilità, ciascuno dei quali ritiene di ritagliare per sé ed i “suoi” uno “spazio vitale” al riparo da turbolenze ambientali. Per sconfiggere queste alleanze spurie, queste coalizioni negative animate da ri-sentimenti nazionali di varia natura, servono grandi forze politiche europee e non antieuropee, costruttive e non dissipative, produttrici di intese che favoriscano la crescita comune, non la manutenzione contabile della crisi. La continuità nella modalità intergovernativa di gestione della crisi o l’avanzamento della integrazione politica sostenuta da un patto per lo sviluppo dipenderà da quali delle due grandi forzi europee (PSE,PPE) prevarrà. Solo la vittoria del centrosinistra europeo, del PSE (di Schulz in Europa e di Renzi con il Pd in Italia) potrà però consentire la liberazione propositiva di quel potenziale democratico di cui l’Europa è tuttora capace e fugare definitivamente i rischi incombenti di un salto nel buio. 23.05.2014 Di Giovanni Celenta

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