Giorgio Tonini su piazze e palchi

Sono quasi settant'anni che il popolo della sinistra italiana, con le sue mille bandiere rosse al vento, si ritrova a San Giovanni: la piazza più grande di Roma, scelta per dare l'impressione di una forza immensa, inarrestabile, invincibile. E sono settant'anni che quello stesso popolo, alle elezioni, si conferma tristemente minoranza: piazze piene, urne vuote, ammetteva sconsolato Pietro Nenni. Il problema di quella piazza non è il popolo che la affolla, grande, generoso, arrabbiato, ma la classe dirigente che lo convoca: da settant'anni testardamente incapace di imparare dai propri errori, sempre, maledettamente sempre, in ritardo con la storia. Era contro lo Statuto dei lavoratori, nel 1970, il palco montato su quella piazza. Oggi lo difende, quello Statuto, con le unghie e coi denti, incapace perfino di immaginare un nuovo compromesso tra impresa e lavoro, tra produttività e occupazione, tra flessibilità e sicurezza, in definitiva una nuova generazione di tutele per una nuova generazione di lavoratori. E così il riformismo, stavolta quello di Matteo Renzi, torna ad essere il principale nemico additato alla piazza da quel palco, affollato di instancabili costruttori di sconfitte. Il partito che rimpiangono, quello guidato da Bersani e Rosy Bindi, nel 2013 era solo il terzo in ordine di preferenza tra gli operai, dopo quello di Grillo e quello di Berlusconi. Alle europee del 2014, il Pd guidato da Renzi si è imposto come il primo partito operaio. Non è la piazza il problema. Il problema è il palco.

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