Germania, che vuoi fare da grande?

Quest’estate il bastone dei mercati finanziari ha picchiato duro sugli stati-cicala. Anche il bastone tedesco è minacciosamente sospeso in aria, ancora indeciso se colpire la Grecia, e poi forse l’Italia. Ci sono state spiegate le ferree ragioni contabili ed elettorali per cui il contribuente-elettore tedesco non potrebbe accettare soluzioni pasticciate. Difficilmente la Germania può accettare soluzioni (salvataggi, eurobond ecc.) che finiscano per assumere connotati assistenziali. D’altro canto rifiuta di adottare autonomamente stimoli fiscali assecondando almeno un po’ il suo ruolo di locomotiva europea. Per ora è bastato che il tedesco Jurgen Stark lasciasse la BCE sbattendo la porta per farci affossare ancora un po’. E i governi degli stati-cicala, dal canto loro, quello italiano di sicuro, hanno confermato i peggiori timori dei mercati e dei tedeschi in qualche modo giustificando la sfiducia dei primi e dei secondi. Come italiani, e come già in altre stagioni, non ci resta che sperare che il rigore degli altri riesca a imporci un minimo di disciplina (ancora meglio se tutto ciò ci aiutasse in un ricambio generale delle classi dirigenti). Non si può escludere che in futuro si debba ringraziare tutti gli Stark di queste settimane…! Ad oggi però è difficile non farsi delle domande anche sulla Germania, il socio di maggioranza dell’unione, che più degli altri può orientare l’evoluzione della crisi. Sicuro che i vincoli di consenso elettorale e di bilancio non consentano alcun margine per soluzioni cooperative, capaci di legare gli impegni immediati e seri di tutti, soprattutto dei paesi-cicala, a prospettive di crescita condivisa? Di collocare gli interessi legittimi dei tedeschi entro orizzonti più larghi, di rilancio del ruolo europeo a livello globale? Se la crisi si dovesse concludere con la rottura dell’unione monetaria europea e la sua riduzione al nucleo tedesco+satelliti, non ne soffrirebbe lo scenario globale, economico e politico, sul quale hanno già acquisito un peso forte gli attori asiatici? Mi viene in mente un paragone, ovviamente sballato per tanti motivi ma forse ugualmente utile: in fondo gli Stati Uniti, alla fine dell’ultima guerra mondiale, intrapresero un programma di aiuti economici e di trasferimento di tecnologie, sostennero la crescita della competitività dei paesi europei e la liberalizzazione degli scambi, tutte politiche i cui costi ricaddero in gran parte sulle loro spalle. Ma i costi furono giustificati in una visione che li legava a loro interessi strategici nazionali e alla prospettiva di guadagnare definitivamente almeno una parte dei paesi europei al blocco occidentale. Non servirebbe oggi una capacità strategica simile da parte dei governi europei, e della Germania un po’ più degli altri?

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