Fassina, il laburismo al capolinea Edo Patriarca, segretario del comitato settimane sociali su Europa di oggi

Fassina, il laburismo al capolinea Ho seguito con interesse il dibattito provocato dall’articolo di Stefano Fassina apparso sull’Unità e poi ripreso da Europa. è meritevole che il responsabile economico del Pd offra un lettura del magistero di Benedetto XVI e della Caritas in veritate. E non mi stupisce affatto che Fassina, legittimamente, dia la sua lettura, come peraltro già fanno notisti e politici di altri partiti. Una buona occasione per mantenere aperto “il Cortile dei gentili” e offrire qualche precisazione. La Dottrina sociale della chiesa (Ds) ha un contenuto assai articolato e complesso che non sopporta “lo spizzichi e bocconi” (in uso anche tra i cattolici) o riduzionismi da qualunque parte provengano. Essa mantiene costanti le ispirazioni di fondo, i principi, i criteri di giudizio, le basilari direttrici di azione, ma al contempo si propone come un cantiere sempre aperto, «soggetto ai necessari e opportuni adattamenti suggeriti dal variare delle condizioni storiche e dall’incessante fluire degli avvenimenti». Ne deriva che i cattolicesimi che sono vissuti in Italia (i cantieri) hanno rappresentato una tappa, sempre parziale e mai definitiva, di questo cammino: dal cattolicesimo sociale a quello democratico, da quello conservatore a quello liberale (ahimè da sempre minoritario in Italia). Vorrei riprendere alcuni “basilari direttrici di azione” che a me paiono assumere una rilevanza nell’attuale dibattito politico e culturale. E il primo riguarda la connessione inscindibile tra sussidiarietà e solidarietà: sussidiarietà senza solidarietà si fa egoismo sociale e individualismo cinico, viceversa solidarietà senza sussidiarietà lederebbe l’autonomia e la libertà delle persone, e delle formazioni sociali. A ben vedere il dosaggio, il mix, tra queste due principi muove le diverse prospettive di riforma del sistema di welfare in Italia. L’altra direttrice è quella che tocca il rapporto tra etica ed economia e che il papa, provocatoriamente, nell’ultima enciclica, congiunge con il principio di gratuità e di dono. Una provocazione per coloro che ritengono l’economia solo regolata dal principio di efficienza. Insomma, una intrusione indebita. Ma non più di tanto. Il mercato, come le imprese, non corrispondono al capitalismo: il mercato è nato prima del capitalismo, e le forme di impresa sono varie: da quella sociale a quella capitalistica, da quella cooperativa a quella pubblica. E dunque il mercato regolato dal principio di efficienza (la concorrenza) e animato dal principio di gratuità, secondo il papa, è lo strumento più adeguato a garantire una buona distribuzione delle risorse e a tutelare le libertà economiche. Le imprese, in questo contesto, sono un valore perché chiamate a generare lavoro e quindi bene comune. L’ultima che propongo riguarda le funzioni che la Ds assegna allo stato, un compito limitato e per questo strategico, e cioè garantire la giustizia e la pace. Anche qui la Ds cerca di costruire nuovi equilibri, e problematizza a tal punto che al n° 41 della Caritas in veritate dichiara che «ragioni di saggezza e di prudenza suggeriscono di non proclamare troppo affrettatamente la fine dello stato. In relazione alla soluzione della crisi attuale, il suo ruolo sembra destinato a crescere, a riacquistare molte delle sue competenze». All’interno di questo quadro propone un equilibrio sapiente tra diritti e doveri, e il principio di uguaglianza (non l’egualitarismo) inteso come un riconoscersi reciprocamente degni, e portatori ciascuno di una propria dote di talenti che trova il merito non nella quantità posseduta ma nella capacità di valorizzarla, come propone la parabola dei talenti. A questo punto mi permetto di entrare in alcuni temi di attualità, nelle scelte e nelle decisioni che spettano alla politica. Non è bene oggi ricondurre (non ridurre) lo stato alle sue funzioni, dimagrendo l’apparato burocratico, l’infinito reticolo di regole, leggi e leggine che limitano la libertà responsabile dei cittadini, delle organizzazioni e delle imprese? Non è urgente uscire dalla confusione (che non appartiene alla Ds) che fa corrispondere i beni comuni al solo stato e che propone conseguentemente lo stato, o le sue aziende, come unico soggetto titolato a gestirli? Davvero è così? Siamo certi che in Italia non vi siano alternative più efficienti ed efficaci? Non si tratta oggi di favorire più competitività e concorrenza in un mercato troppo ingessato, in alcuni settori persino monopolistico, per nulla aperto e premiante verso coloro che vogliono intraprendere? Sul mercato del lavoro. La Ds afferma che il lavoro è strutturalmente legato alla persona, alla sua verità. Esiste un diritto al lavoro ma anche l’equivalente dovere a produrlo. Se non vi sono i soggetti che il lavoro lo generano (le imprese) come può essere esigibile il diritto al lavoro? Ciò che impedisce la generazione di lavoro non colpisce la stessa dignità del lavoro? Va da sé che la riforma di un mercato che oggi produce disoccupazione – e drammaticamente tra i giovani – va fatta senza indugi. L’attuale configurazione del mercato è ingiusta, non garantisce il diritto al lavoro e a un lavoro dignitoso. Non si tratta di ridurre le tutele ma di incrementarle, di costruire un sistema universalistico di ammortizzatori sociali moderno che tuteli la persona e non il posto. Di migliorare il rapporto tra lavoro e il sistema istruzione/formazione, di rendere più efficiente l’incontro tra domanda e offerta, di impedire che la strumentazione di sostegno produca una dose eccessiva di assistenzialismo deturpando così la stessa dignità della persona e annullando il dovere a cercare il lavoro e a prenderlo nelle disponibilità che sono date (le casse integrazioni che durano sette anni, vedi il caso Alitalia, sono utili alla persona e alla sua dignità?). Infine, è pensabile un mercato del lavoro che dia tutele e che garantisca la flessibilità positiva alle imprese nei casi di riconversione (ne vedremo ancora tante nel settore manifatturiero)? Io penso di sì, e penso che si possa anche discutere, laicamente, dell’articolo 18. Una sola raccomandazione al ministro Fornero: una riforma di questa portata non è a costo zero. Anzi. è bene chiarire anzitempo se vi sono le risorse necessarie, e dove le si andranno a reperirle, auspicalmente non in carico al solo bilancio statale. Il dovere di solidarietà vale anche in questo caso e deve coinvolgere sussidiariamente tutti i soggetti in campo. Una conclusione: a me pare che la prospettiva del laburismo, pure rinnovato, come propone Fassina sia giunto al capolinea, assieme alle forme di capitalismo che abbiamo conosciuto in questi decenni. La prospettiva che viene indicata dal magistero di papa Benedetto mi pare vada più nella direzione della tradizione liberale. Mi domando: è possibile costruire un sistema politico fondato sull’alternanza tra liberali conservatori e liberali riformisti? E se non chiedo troppo, il Pd questa prospettiva la esclude a priori? Edoardo Patriarca

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