Emmaus: conversazione e ricerca, di Roberto Filippini

Lc 24, 13-35
1.
È imbarazzante ritrovare appena dopo 15
giorni lo stesso Vangelo che la liturgia aveva proposto per la messa vespertina
di Pasqua e che si è già commentato allora; abbiamo la sensazione di sapere già
tutto su questo testo e che non ci riservi gran che di nuovo. Ma in realtà non
è così. E comunque questa impressione la si ha, per certi versi, nei confronti
di ogni pagina del Vangelo che sicuramente abbiamo ascoltato non una, ma
infinite volte. Eppure, ogni volta ci riserva insieme al già note anche
sorprendenti scoperte. Perché la Parola di Dio è un abisso di senso che non
esauriremo mai e anche perché ogni lettura ci immette sempre maggiormente
nell’intimità col Signore, aprendoci al suo continuo rivelarsi. È questo lo
scopo della lettura del Vangelo, non l’acquisizione di nuove informazioni, di
idee e di nozioni: ma l’incontro con una persona, verso di cui si apre il cuore
e gli occhi della fede.
2.
La questione di fondo di questo intenso
brano, ricco di suggestioni ed emozioni, è proprio l’incapacità di vedere il
Risorto dei due discepoli, anzi di riconoscerlo, che si risolve alla fine
quando a Emmaus, i loro occhi si aprono ed essi vedono e credono che Gesù è vivo.
Dunque, il racconto registra un itinerario, che dalla cecità porta alla fede e
logisticamente è interessante che si muova da una Gerusalemme, città della
morte del profeta e delle speranze nutrite in lui, e si concluda di nuovo a
Gerusalemme, trasformata in luogo di luce e di gioia, dove riprende la vita
della comunità e da dove partirà la storia dei testimoni della Risurrezione.
3.
I due avevano lasciato la città santa,
tristi e delusi, ma avevano lasciato alle loro spalle anche la comunità dei
discepoli, la chiesa che si stava sfaldando senza Gesù. Del resto durante la
passione tutti erano fuggiti e che senso aveva stare ancora insieme senza di
lui, senza il sogno che Lui aveva fatto nascere in loro e che solo in lui
prendeva realtà?
Tanto
valeva tornare alle proprie case, ciascun per conto suo o al massimo in coppia,
c’è anche chi sostiene, come Maria Luisa Rigato, che i due di Emmaus siano un
uomo e una donna; una famiglia. Ciascuno dunque ai propri progetti domestici,
meno pretenziosi ed esaltanti, ma per lo meno concreti e possibili.
4.
Ma se i due avevano abbandonato gli altri
seguaci del maestro di Nazareth, non gli era stato possibile abbandonare subito
le sue parole, i suoi gesti, le illusioni e le inquietudini che aveva seminato
in loro, ed essi ne parlavano animatamente, gettandosi contro, l’un l’altro, le
loro parole (trad. letterale di antiballete v. 17), in un confronto doloroso e
che costituiva però una ricerca comune accorata. Forse troviamo già qui un’indicazione di come
i discepoli di Gesù di tutti i tempi, anche oggi devono affrontare i momenti
critici, il momento di dubbio e di sconforto o la tentazione di lasciare una
prospettiva di vita cristiana: bisogna cercare insieme, insieme discutere,
interrogarci l’un l’altro con sincerità senza stancarci…E il Signore allora si
legge nel testo “in persona si avvicinò e camminava con loro”.
5.
Da quel momento (un evento, secondo il
greco egeneto: avvenne che) è Lui di
fatto che guida il gioco e dà il senso del loro cammino. Interroga, insiste, li
spinge a ricordare: è un perfetto didatta Gesù che cammina con i suoi discepoli
e li aiuta a raggiungere la verità: conosce perfettamente il metodo (meth-odos), la via attraverso la quale
giungere alla meta: è lui del resto “la via, la verità, la vita.”
6.
Viene ricostruita tutta l’avventura
vissuta con lui, profeta potente in opere e in parole, tutta l’esperienza
entusiasmante della vita che essi hanno condivisa con lui, e poi…i giorni della
paura e del fallimento, quella croce a cui erano state inchiodate le loro
attese, il sepolcro e la parola fine: “noi speravamo…”.
7.
E la speranza però tornata nella memoria
non vuole morire: c’è l’esperienza stralunata delle donne che al mattino hanno
trovato la tomba vuota e hanno avuto una visione. Ma basta questo? Lui nessuno
lo ha visto.
8.
Si, è necessario, indispensabile,
incontrare Lui per superare le nostre crisi e le nostre inquietudini, per
riaccendere il fuoco nel cuore: e questo è vero sempre. Anche la stanchezza e
l’apatia dell’esperienza ecclesiale dei nostri tempi, anche le sconfitte di
fronte a un mondo che sembra sempre più diffidente o indifferente, anche
l’allontanamento dei giovani che disertano le parrocchie e i fallimenti della
pastorale e il calo crescente delle vocazioni…possiamo affrontare tutto, solo
camminando con Lui, facendoci incantare dalla sua voce, mettendoci alla scuola
della su Parola, come i due di Emmaus, che vengono meravigliosamente istruiti
sul senso delle Scritture e profondamente trasformati.
9.
L’incontro giunge al culmine come sappiamo
bene nel gesto eucaristico, nello spezzare il pane, ormai a sera inoltrata; e
proprio quando lo riconoscono Egli scompare ai loro occhi, per stabilirsi
solidamente nel loro cuore.
10.
Il segno sacramentale permette di riconoscerlo
non semplicemente come fuori di noi, ma come uno che abita e riscalda la nostra
interiorità e la nostra vita, come il Vivente che sempre ci accompagna, ci
guida e illumina anche i momenti più bui, come gli attuali.
11. E infatti i due, nonostante sia già calato il sole e la notte sia fonda, trovano la forza di partire senza indugio e di tornare a Gerusalemme per rientrare nella comunità e dare la buona notizia. Anche se dapprima saranno loro a riceverla dagli altri: “Davvero il Signore è Risorto…”, in uno scambio gioioso di esperienze che determina l’evento della Chiesa. La Chiesa infatti qui non è primariamente un’istituzione, una struttura sociale, ma un evento prodigioso di comunicazione e di comunione con il Signore, che a questo punto appare in mezzo ai suoi.
Commenti (0)