da "Avvenire" di oggi nel dibattito "Laicità e bene comune"

I  cattolici, una realtà indispensabile per fare delle vere scelte riformatrici   di Stefano Ceccanti e Giorgio Tonini   L'omelia del cardinal Bagnasco parte da San Lorenzo martire, esprimendo così l'importanza paradossale della politica ricondotta al suo giusto ruolo. Il richiamo alla libertà religiosa relativizza lo Stato, gli pone innanzi, come ricorda la "Dignitatis Humanae", l'immunità della persona dalla coercizione. La libertà religiosa non ha quindi solo a che fare col rapporto tra singolo e Trascendenza, tra chiese e Stato, ma comporta anche una visione poliarchica su cui si è riflettuto alla Settimana sociale, cioè una politica decidente ma non invadente. Per varie ragioni, invece, nel nostro Paese si ha spesso a che fare col contrario: una politica dedita all'intermediazione (le "pressioni" e gli "interessi più forti" di cui parla il cardinale) e incapace di sfuggire alla "dinamica aleatoria dei numeri e delle opinioni". Accanto alla libertà religiosa il cardinale indica una base materiale nel supportarla: "Le molteplici aggregazioni laicali cattoliche o ispirate cristianamente, le parrocchie e molte altre realtà". In Italia si dà effettivamente una densità peculiare: come scrive Roberto Cartocci "la minoranza dei cattolici attivi nelle parrocchie e nei movimenti è probabilmente l'unica minoranza attiva che sia sopravvissuta nel Paese, capace di coniugare insieme solidi riferimenti ideali, dedizione e capacità di organizzarsi in autonomia". Una realtà quindi indispensabile per le scelte riformatrici a cui è legata l'uscita dalla crisi. Il cardinale non si spinge ad indicare forme concrete in cui spendere quel patrimonio perché "le realtà temporali si reggono secondo norme proprie" che comportano un discernimento dei credenti, in particolare dei laici. Del resto la forza del radicamento è anche legata ad una credibilità della comunità ecclesiale percepita come altra dalle dinamiche del sistema politico. Ci sono però dei criteri: non dilapidare il patrimonio, non dissolverlo per ignavia "o per utopistiche sintesi e contaminazioni".   Riportandoli al dibattito di oggi si tratta di prendere posizione su due discriminanti. La prima è tra chiusura della transizione nel senso di una democrazia governante, come nel caso dei sindaci, e restaurazione di un sistema multipolare. Quest'ultimo, per le diverse condizioni, soprattutto internazionali, avrebbe esiti diversi rispetto alla Dc. Da minoranza oggi socialmente centrale i cattolici diventerebbero area di piccola rendita centrista, in un ghetto minoritario. La seconda è conseguente: se i cattolici scelgono di completare la transizione nel senso bipolare ha senso puntare verso un unico polo o non è invece da supportare la presenza qualificata in entrambi, facendo maturare ovunque quell'impostazione poliarchica tra Stato e società, dai rami bassi dell'ordinamento fino all'eredità degasperiana dell'apertura europea, atlantica e sovranazionale? In entrambi gli schieramenti permangono sacche di cultura statalista, forme di utopismo ingenuo verso le relazioni internazionali e altri difetti, ma questa è una ragione in più per non privare l'intero sistema politico di una pungolante equivicinanza.    

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