Brexit: una frattura al centro del sistema (da Huffington Post), di Luca Diotallevi

http://www.huffingtonpost.it/luca-diotallevi/brexit-una-frattura-al-ce_b_10669668.html?utm_hp_ref=italy Fra cento anni, chi vorrà dare un'idea di quale enormi effetti provocò sull'Europa la crisi globale di inizi XXI secolo, non da ultimo farà riferimento alla Brexit. Quello greco è stato un dramma, ma la Grecia è piccola e da tanto tempo malandata. La aggressione russa all'Ucraina (a partire dalla annessione manu militari della Crimea) è stato un orribile e sanguinoso ritorno al regime di selvaggi rapporti tra Stati, ma l'Ucraina (che non è piccola) è per molti versi ai margini del sistema europeo e la Russia è tornata a non vergognarsi più di essere un po' Europa ed un po' no. Con la vittoria dei favorevoli all'uscita della Gran Bretagna dalla Unione Europea una crepa profondissima e si manifesta al centro del sistema e annuncia ulteriori effetti di lungo periodo. Il tentativo di costruire nel Vecchio Continente un sistema di relazioni politiche che superasse l'èra degli Stati (che nel solo '900 aveva prodotto due guerre mondiali ed un certo numero di genocidi), il tentativo di integrare e correggere la tradizione statalista ispano-franco-tedesca con il recupero di elementi essenziali della tradizione anglosassone (ovvero con il recupero della comune tradizione romanistica che esige una politica più piccola per una società più aperta) era cominciato nel dopo la Seconda Guerra Mondiale con Adenauer, Schumann e De Gasperi. Questo tentativo aveva conosciuto una grande vittoria ed un rafforzamento con la associazione del Regno Unito alla stessa avventura. Era sembrato in grado di assorbire il trauma e corrispondere alle speranze che avevano abbattuto il muro di Berlino e sconfitto l'URSS. Alla fine degli anni '90 del Novecento (gli anni di Clinton e di Blair) era sembrato che il risultato più grande e positivo fosse a portata di mano, era sembrato che la prospettiva UE superstate che aveva pervertito l'intuizione di partenza fosse irrimediabilmente alle corde. Persino la Germania aveva dovuto fare riforme. Tuttavia, non aver portato a termine l'opera in quel momento, aver lasciato irrisolti nodi cruciali (politici come economici), ci ha lasciato indifesi di fronte alle prevedibili reazioni (intenzionali e non intenzionali). Esse hanno preso le forme più varie: locali e globali. La crisi si è manifestata nei modi più eclatanti (dagli attacchi dell'11 Settembre 2001 alla crisi economica iniziata nel 2007/2008) o in modi meno immediatamente visibili (impoverimento economico, culturale e valoriale del ceto medio; spaventosa contrazione dei moderati di centro-destra e di centro-sinistra; assurda eppure realissima ripresa di nazionalismi, statalismi, fondamentalismi). Di questa crisi la Brexit è il segno politico sinora più grave e profondo tra quelli che si manifestano nel tessuto istituzionale della global governance. Anche senza immaginare le conseguenze (che potrebbero essere gravissime e che sicuramente saranno durature), già di per sé la Brexit è grave. Essa lascia l'Unione Europea sotto la pesante eppure fragilissima egemonia tedesca. (Arriverà la Merkel alle elezioni del 2017? Queste elezioni saranno vinte da una forza democratica?) Essa lascia l'intera Europa Continentale esposta al malfermo, ma ancora pericoloso, orgoglio putiniano. Essa alimenta spinte centrifughe (che in Olanda o in Polonia potrebbero manifestarsi prima che non si creda e forse ancor prima che in posti come l'Ungheria). Soprattutto, drammatico paradosso, la Brexit è stata alimentata più che dai tipici valori britannici, da un misto di volontà di chiusura alle persone ed ai commerci, di isolamento e di sovranità, ovvero da valori che sono piuttosto quelli della peggiore Europa Continentale. Non basta, la Brexit espone la Gran Bretagna stessa a derive centrifughe, che farebbero impazzire di gioia i boiardi di Bruxelles, di Parigi, di Berlino e di Roma e prima ancora Putin, derive alle quali gli scozzesi per primi potrebbero cedere. Oggi è un gran giorno per Putin, e dunque anche per la Mogherini e Gentiloni. Lo sarebbe stato anche per Renzi, se come solito suo non avesse esagerato ("beccato" da The Economist) affermando solennemente che i britannici avrebbero pagato per la Brexit molto più degli italiani. Ieri, al lordo della svalutazione, la borsa di Londra ha perso un quarto di quanto ha perso quella di Milano. L'Europa di Prodi, Amato, Fini, Tremonti, D'Alema, Napolitano, Monti, Renzi e Letta (per citare solo alcuni degli italiani pro super state) non solo ha fallito, ma è riuscita persino a contaminare i britannici, dai quali invece si sperava fosse contaminata. Il modello state society si è rivelato irredimibilmente impermeabile e repulsivo rispetto al modello stateless society. E' ancora possibile scegliere tra i due, ma oggi Londra e New York sono molto più lontane da Berlino, Parigi e Bruxelles. I gradi che separano le due direzioni sono di molto aumentati e dunque la scelta si è fatta più costosa e più drammatica. Tuttavia, la Brexit non è l'unico segno politico di questa crisi che si manifesta al centro e non ai margini del sistema. Fra qualche ora conosceremo i risultati spagnoli. Le primarie statunitensi ci hanno consegnato non solo la candidatura di Trump, ma anche un risultato fotocopia: il grande successo di Sanders. Umanamente mille miglia lontano da Trump, politicamente Sanders rappresenta un populismo speculare. In Francia Hollande è alle corde ed a destra chi incombe non è la sua naturale alternativa democratica di cui era stata sempre provvista la Quinta Repubblica, ma il Front Nationale di Marie Le Pen. In Italia il voto amministrativo ha visto nella maggioranza dei grandi comuni il Pd ed il centro-destra battuti sonoramente o da alleanze populiste di sinistra (a Napoli De Magistris), o da riedizioni delle vecchie coalizioni di sinistra per rompere con le quali il Pd era nato (Cagliari e Milano) o dalla protesta pura e programmaticamente poco democratica dei Cinque Stelle (Roma e Torino). Il rottamatore Renzi che ben poco ha rottamato, ed ancor meno riformato, rischia ora seriamente la propria rottamazione. Se rimanderà il referendum istituzionale apparirà fino in fondo come il bulletto dell'oratorio che, quando teme di perdere, fugge con il pallone. Ora, l'unica istituzione politica condivisa dalle democrazie occidentali (e l'unica che tiene insieme politicamente l'Europa democratica) è la Nato (e in prospettiva il progetto, necessario, ma al momento tutt'altro che perfetto, di un trattato per una maggiore integrazione economica transatlantica: TTIP). Mentre è ancora un rebus la direzione della transizione britannica, se a Novembre negli USA a vincere non fosse la Clinton, le ragioni politiche della "società aperta" non avrebbero più un solo riferimento politico forte.

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