Bobba: Radici sociali per la politica dei cattolici
"Il richiamo della Caritas in veritatis e a non proseguire nella schizofrenia costituita dalla separazione, intraecclesiale e politica, tra coloro che privilegiano un’opzione di fede tutta incentrata sul sociale e coloro che invece danno assoluta priorità ai temi antropologici deve rappresentare la vera sfida per le comunità cristiane." CERCANDO LA RETTA VIA. LE RADICI SOCIALI DA RISCOPRIRE PER LA POLITICA DI DOMANI. 1.“Non temete l’impegno in politica” Le parole del Papa Benedetto XVI al Santuario di Nostra Signora di Bonaria, a Cagliari, il 7 settembre 2008, possono essere lette come una guida sicura per tentare di delineare il compito prioritario di questa stagione incerta, confusa e, a tratti, perfino torbida della democrazia nel nostro Paese. Il Pontefice ha invocato “una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di creare con coerenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile”. Che cosa significa tutto questo per chi è impegnato nel campo sociale e politico? Come possiamo contribuire a far venire alla luce “una nuova generazione di laici cristiani impegnati nella politica?”. Come facilitare un lavoro corale di associazioni e movimenti? Come costruire ponti tra chi opera nel sociale e chi esercita funzioni di rappresentanza politica e ruoli istituzionali? 2. Un pluralismo “leggero” Occorre innanzitutto prendere coscienza che le condizioni in cui matura l’impegno politico e sociale sono radicalmente cambiate, sia in campo ecclesiale sia quello della società più in generale. In campo ecclesiale, la connessione stringente tra la crescita di una matura esperienza di fede e di una solida appartenenza ecclesiale con l’assunzione di responsabilità sociali e politiche si è molto allentata, quando non del tutto dissolta. Con un duplice impoverimento: sul versante ecclesiale, con il diffondersi di una fede più privatizzata; un cristianesimo self-service facilmente catturabile da una cultura new-age che riduce il Cristianesimo a filantropia; sul versante politico, con il frammentarsi e l’indebolirsi di una presenza organizzata dei cattolici nel campo della cultura, del sociale e della politica. In secondo luogo, il transito di persone dalle esperienze associative verso l’impegno politico in un partito o in ambiti istituzionali si è quasi del tutto interrotto. Quello che era un meccanismo naturale, quasi un’osmosi tra sociale e politico, non funziona più. Non c’è più, o è carente, una vera ed esplicita intenzionalità formativa dei movimenti e delle associazioni alla responsabilità politica, spesso vissuta come qualcosa di altro, a volte perfino da rifuggire. Così il vivaio “vocazionale” è diventato sterile e il passaggio dal sociale al politico si è rarefatto. Dopo la fine della DC, la frammentazione della presenza politica dei cattolici ha anch’essa favorito, o perlomeno legittimato, quell’autosufficienza del sociale dove raramente si genera cultura politica. Sorgono dunque due domande, una con un profilo ecclesiale, ovvero, sull’apertura della formazione cristiana all’impegno pubblico; l’altra, sulle modalità attraverso cui valorizzare l’ancora ricco tessuto di opere sociali, movimenti e associazioni promossi dai cattolici, anche nel campo della politica. Il primo interrogativo attiene, principalmente, a chi nella Chiesa ha la responsabilità di far crescere e maturare l’esperienza della fede e favorire l’appartenenza ecclesiale. La sfida lanciata con il “Progetto culturale” aveva proprio questo intento; ma se “il Progetto culturale” è riuscito a rilanciare il discorso cristiano sulla scena pubblica, ha invece segnato il passo negli itinerari quotidiani di fede delle nostre parrocchie e delle nostre comunità. Così nel discorso pubblico, la Chiesa e i cattolici sono tornati a prendere parola; nella quotidianità della vita ecclesiale e degli itinerari di fede delle persone non si è certo invertita quella tendenza alla privatizzazione dell’esperienza della fede e il diffondersi di un’appartenenza ecclesiale debole. 3. Verso un nuovo bipolarismo? La seconda questione non è certo facile da affrontare. Da un lato, la distanza del mondo associativo cattolico dall’impegno politico e, dall’altro, l’estrema frammentazione dei cattolici nelle diverse formazioni politiche e all’interno di esse, non rendono agevole un percorso per ricostruire un circuito virtuoso tra sociale cattolico e impegno politico istituzionale. Il sistema politico è radicalmente mutato in forza di due fattori: la forte personalizzazione della politica e il passaggio ad un sistema bipolare che, in alcuni momenti, è sembrato diventare quasi un sistema bipartitico. La prima tendenza è oggi sempre più marcata e ha portato ad un progressivo depotenziamento degli organi assembleari, e a forti tensioni tra singole personalità e forze politiche organizzate. La seconda appare meno consolidata e gli attuali sommovimenti politici potrebbero anche preludere ad una ristrutturazione del sistema bipolare o, forse, ad un suo tramonto. Infatti, il bipolarismo attuale premia in modo eccessivo le forze più estreme e radicali, consentendo ad esse una rendita di posizione che non favorisce la convergenza verso decisioni utili per il Paese. Il protagonismo di queste forze – sul lato destro e sinistro del sistema politico – ha però gli stessi caratteri: populismo, radicalismo e antipolitica. Si sta andando verso un punto di rottura oppure maturerà un bipolarismo meno sgangherato? Difficile dare una risposta, ma nella ridefinizione del sistema politico potrebbero trovare maggiore spazio, ruolo ed incidenza i cattolici variamente organizzati nella dimensione sociale e politica. E’ evidente che un possibile declino del populismo, del radicalismo e dell’antipolitica potrebbe consentire a chi ha forti radici nella dimensione sociale di ritrovare cultura ed iniziativa politica. Se si vuole evitare una marginalizzazione della presenza dei cattolici in politica, c’è da contrastare con determinazione il populismo mediatico e territoriale da un lato, il laicismo e l’individualismo radicale dall’altro. Torna dunque di attualità la necessità di una formazione alla politica per chi vive un impegno nel sociale o è impegnato nelle amministrazioni locali. Ma un investimento in termini di cultura e formazione politica non può essere fatto in astratto fuori dai luoghi concreti dell’azione politica – come in gran parte è avvenuto con le scuole di educazione alla politica; deve misurarsi con le forze in campo e darsi l’obiettivo di immettere persone preparate utilizzando canali già in parte strutturati. L’alternativa è quella di fare della buona formazione politica, ma sganciata dai processi reali in atto nel sistema politico. Tale scelta – quella della formazione alla politica- appare altrettanto decisiva per arginare un limite oramai troppo evidente: l’insignificanza della presenza dei cattolici nelle diverse formazioni politiche. 4. Oltre l’irrilevanza Il richiamo della Caritin veritatas e a non proseguire nella schizofrenia costituita dalla separazione, intraecclesiale e politica, tra coloro che privilegiano un’opzione di fede tutta incentrata sul sociale e coloro che invece danno assoluta priorità ai temi antropologici deve rappresentare la vera sfida per le comunità cristiane. Occorrono luoghi d’incontro, dialogo ed elaborazione politica che vedano insieme cattolici che continuano ad avere a cuore il bene comune e non hanno smarrito la bussola del Magistero sociale della Chiesa. Arginare la deriva dell’irrilevanza e dell’insignificanza per ricostruire una presenza incisiva e caratterizzata, sembra il modo più concreto per rispondere all’appello del Pontefice. E allo stesso tempo non lasciar cadere nel vuoto le recenti parole del Card. Angelo Bagnasco (25 gennaio – Consiglio Permanente della CEI): “vorrei che questa stagione contribuisse a far sorgere una nuova generazione di italiani e di cattolici che, pur nel travaglio della cultura odierna e attrezzandosi a stare sensatamente dentro ad essa, sentono la cosa pubblica come importante e alta, in quanto capace di segnare il destino di tutti, e per essa sono disposti a dare il meglio dei loro pensieri, dei loro progetti, dei loro giorni. Italiani e credenti che avvertono la responsabilità davanti a Dio come decisiva per l’agire politico. So che per riuscire in una simile impresa ci vuole la Grazia abbondante di Dio, ma anche si accetti di lasciarsi da essa investire e lavorare”.
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