Ancora sulla poliarchia

Provo ad accostare, con non poche forzature, due interventi sulla poliarchia. Su questo blog, qualche settimana fa, Flavio Felice abbozza una storia della poliarchia nella cultura politica cattolica, rintracciando nel DNA del magistero della Chiesa e nella dottrina sociale tutti gli elementi del dibattito attuale. In un numero recente di Rocca, Raniero La Valle punta, al contrario, a ridimensionare questo dibattito. Anche l’ingresso ufficiale della poliarchia nella Caritas in Veritate non deve essere sopravvalutato, dice La Valle: è solo l’espressione di un’opzione per un assetto pluralistico dell’ordine politico internazionale, un modo per prendere le distanze dal “governo mondiale”. Nulla di più e, soprattutto, nulla a che vedere con quel ridimensionamento della politica che costituisce invece il cuore della ricetta poliarchica, così come si presenta, ad esempio a proposito della situazione italiana, nei documenti ufficiali della settimana sociale di Reggio Calabria. Trovo poco convincenti entrambi gli interventi. Intendiamoci, Felice tratteggia con efficacia la poliarchia e ne mostra tutti gli effetti innovatori, a partire dalla richiesta di una riformulazione dell’asse ideologico destra-sinistra. Condivide, in sostanza, le potenzialità del concetto. Al contrario La Valle resta impigliato nella maglie del conservatorismo costituzionale per il quale tutto quello che è successo in Italia dopo il 1994 è sostanzialmente fuori dalla legalità costituzionale. E’ la posizione che ispira anche i proponenti dei referendum di giugno sui servizi pubblici locali e sull’idrico. Una posizione che paradossalmente finisce con il creare non pochi problemi alla effettività del quadro costituzionale che intende difendere. Ma l’immagine della poliarchia appare imprecisa, per ragioni diverse, sia nell’intervento di Felice che in quello di La Valle. La ricostruzione di Felice è troppo continuista. Non è semplice separare la continuità, che certo è presente nel magistero sociale della Chiesa, dal continuismo. Eppure Felice pecca a mio avviso di continuismo. Siamo sicuri che la poliarchia vada a comporre un aggregato più ampio da Leone XIII a Benedetto XVI, tenuto insieme da un medesimo “filo d’oro”? Siamo sicuri che Leone XIII non sia piuttosto, per certi versi, un passo indietro nel rapporto tra stato e società? Penso di no. Un conto la continuità nel desacralizzare il potere politico e nel conseguente e necessario processo di moltiplicazione dei poteri. Un conto la specifica e particolare desacralizzazione e pluralizzazione che si accompagna ad una visione poliarchica della società. Qui c’è una discontinuità. Un po’ come con la Dignitatis Humanae per la libertà religiosa, comunque la si pensi sull’evoluzione innovativa del magistero di Pio XII. Facciamo un esempio. Il modello corporativo è compatibile con il primo processo (molteplicità) ma non con il secondo (poliarchia). Come dice Sabino Cassese il corporativismo si caratterizza infatti per una molteplicità non pluralistica. La poliarchia è invece una versione a più strati del pluralismo che, della prima, è solo uno degli elementi costitutivi. E ancora. Il primato della politica sulla finanza è compatibile con il primo processo (pluralità) ma non con il secondo (poliarchia). Come dice Max Stackhouse, uno dei teologi americani più attivi sul fronte della nuova teologia pubblica, la politica può regolare aspetti limitati delle altre sfere sociali ma non dovrebbe dominarle e, anzi, è perfettamente fisiologico che per alcuni aspetti sia da loro regolata e condizionata. Felice convince quando mostra gli effetti della poliarchia, non convince invece quando traccia la biografia del concetto. Al contrario La Valle sbaglia proprio la mira, sia quando guarda al contenuto che quando guarda al metodo. Non è difficile, innanzi tutto, comprendere come anche il solo riferirsi alla poliarchia come forma dell’ordine politico internazionale sia tutt’altro che irrilevante per il modo di concepire la politica e i rapporti tra potere politico e società. La poliarchia nell’ordine internazionale è il segno di come, appunto, la produzione di un ordine non dipenda dal costituirsi di un potere. Viene meno dunque, anche a questo solo livello, ogni possibile primato della politica inevitabilmente associato alla sua riconduzione ad un ordine e ad un potere. La società internazionale produce un ordine non attraverso un potere, anzi lo fa tendenzialmente attraverso una relazione orizzontale tra poteri che somiglia piuttosto all’anarchia. Non per caso il dibattito sulla governance, come forma “orizzontale” di regolazione sociale, nasce proprio nell’ambito della politica internazionale. Come fa poi La Valle a trascurare un fattore cruciale del modello poliarchico e cioè la fuoriuscita del diritto dall’orbita dello stato moderno, cioè della politica? Il diritto riconquista una sua autonomia, contratto e giudici si riprendono lo spazio occupato dal legislatore nel funzionamento della sfera giuridica. E’ lo stato il vero bersaglio del processo di articolazione poliarchica dei poteri. La poliarchia ci porta oltre lo stato. E non si capisce perché i documenti della Settimana sociale di Reggio Calabria non possano attirare su questo punto l’attenzione dei cattolici e del paese. Giungendo a giudizi anche circostanziati. Il modello cui si ispirano è infatti schiettamente conciliare, viene da quella seconda parte della Gaudium et Spes che svolge con sguardo globale ed attenzione per i dettagli un grande esercizio di discernimento. E non a proposito dei principi ma cercando di leggere gli eventi, consapevoli della provvisorietà ma anche della ineludibilità del giudizio. Fino al punto di non sottrarsi ad una valutazione di questioni come gli investimenti e la moneta (n.70). Mostrando come discernimento e scelta religiosa finiscano quasi con il coincidere. Non è facile dunque, come fa La Valle, ridimensionare l’emergere delle poliarchia nel magistero della Chiesa, né derubricare l’esercizio di discernimento delle settimane sociali di Reggio Calabria ad unilaterale assunzione di un punto di vista partigiano. Dal mondo cattolico italiano giungono importanti segnali di cambiamento, di scongelamento di equilibri ormai consumati. Discernimento e poliarchia ne sono le parole chiave. Conviene prestargli molta attenzione.

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