Ancora su Macron. Analisi di un test, di Luca Diotallevi

Innanzitutto debbo dire che mi piace tantissimo l’impostazione del testo: se vogliamo capire se Macron è statalista o no, dobbiamo operazionalizzare il concetto.

Semmai scioglierei l’ultima delle domande iniziali. Macron può ben essere il leader europeo degli anti-populisti senza poter essere per questo annoverato tra i riformisti liberali. Può semplicemente rivelarsi il meno peggio di ciò che c’è, senza essere quello che vorremmo. In ogni caso io procedo trascurando quest’ultima parte dell’ultima tra le domande guida.

 

Ci sono due cose da tener presenti preliminarmente anche se non sono in grado di svilupparle adeguatamente.

La prima è che il materiale empirico sul quale si conducono i test è fatto quasi esclusivamente da testi (che in politica sono importanti, ma sono tutto).

La seconda è che per il “test poliarchia vs statalismo” la considerazione dei rapporti tra politica, economia e religione, è importante, ma non è tutto: andrebbero considerati anche i rapporti politica/diritto, politica/famiglia, politica/scienza e istruzione, … . Tuttavia, ciò che proponi è più che sufficiente per cominciare.

Sullo sfondo incombono anche altre due questioni:

la differenza tra poliarchia e pluralismo; ci sono stati che consentono più pluralismo di altri, ma restano stati; Althusius e Dahl, sono pluralisti, non poliarchici nel senso di Stepan, Elazar, Walzer, (in Sfere di giustizia, se si esclude la parte finale), Rosenau, ecc.);

la confusione che inevitabilmente si genera parlando di “liberali” (come nel caso di “democratici”), bisogna chiarire; correttamente, nella storia del liberalismo di De Ruggero, Hobbes, Rousseau o Hegel sono giustamente considerati liberali, come Locke, De Tocqueville o Kant: la frattura che li divide è logicamente precedente. Se, come credo tu faccia e come personalmente condivido, ci riferiamo solo alla seconda variante di liberalismo, il povero Macron sarebbe seppellito da una semplicissima domanda: si può davvero essere liberali (nel senso anglosassone) senza - non dico la judicial review -, ma senza uno straccio di vera corte costituzionale, cosa della quale Macron non sembra assolutamente avvertire il bisogno?

 

Entriamo nel merito. Per cominciare tocco solo tre tests: il primo, il secondo ed il sesto (e aggiungo uno spunto).

Primo test

E’ chiaro che Macron inietta un po’ di pluralismo nel dirigismo dei precedenti presidenti francesi (non parlerei di francesi in generale, pure Monnet era francese). È chiaro che tollera più pluralismo all’interno allo stato, ma – battuta – anche Deng era più pluralista di Mao o Mussolini meno totalitario di Hitler. Secondo me qui la questione andrebbe posta così: per Macron la politica ha ancora l’ultima parola sul bene comune? A me pare che neppure “a parole” abbia mai detto il contrario. La sua nozione di repubblica (per lui sinonimo di stato) è assolutamente inequivoca: superiorem non recognoscens … e neppure degli eguali!

Ciò – come si diceva – anche solo “a parole”, e meno che mai “nei fatti”.

Insomma, forse Macron  è un po’ più pluralista di Hollande e Mitterrand, ma non “poliarchico” non direi proprio. Anche nelle sue parole, la politica-in-forma-di-stato è il centro ed il vertice della intera società: la piramide ha forse ora una base più larga, ma sempre piramide resta.

 

Secondo e terzo test

Non ti pare che la oscillazione che rilevi nel terzo test influisca anche sul secondo?

 

Sesto test

Il Ratzinger della conferenza che citi ed Habermas (anche l’ultimo) si muovono completamente dentro un orizzonte di laicità e dunque di confessionalismo (vedi il positivo riferimento Böckenförde). Per tanto, utilizzandoli come parametri, emerge semplicemente che Macron è per la laicità (secularism). Potremmo forse parlare nel suo caso (come in quello di molti altri) di moderate secularism (e tale mi sembra anche la sostanza del “post-secolare” di Habermas). Siamo però mille miglia lontani dalla libertà religiosa (dalla libertà religiosa come muro di separazione che passa non tra spazio pubblico e spazio privato, ma che attraversa lo spazio pubblico). Anche in questo caso diventa decisivo decidere cosa intendere con “liberale”: Rousseau o Locke?

Tra l’altro, la cosa è chiarissima proprio nel testo di Macron che citi. Per lui, anche lì, la religione è credere (neppure culto). In una prospettiva di libertà religiosa la religione è invece innanzitutto opere (e opere di valore pubblico). Per questo, il non credente e federalista antistatalista Jefferson vuole che le opere pubbliche della religione siano garantite (free exercise), perché non vuole un pubblico egemonizzato dalla politica (e meno che mai dal solo stato).

A me pare che lo Stepan delle twin tolerations è quello che (nelle scienze sociali empiriche) ha meglio capito ed operazionalizzato tutto questo (contro Rawls, tra l’altro).

Forse questo sesto test dovrebbe essere: per Macron la libertà religiosa è un caso della libertà di coscienza (ed in questo caso siamo entro la laicità) oppure la libertà religiosa è la prima garanzia della libertà di coscienza (ed in questo caso siamo entro la libertà religiosa). Laicità e libertà religiosa, infatti, hanno due nozioni completamente diverse ed incommensurabili di libertà religiosa.

Quanto a non essere Macron il sacerdote di alcuna religione (civile alla Rousseau), la citazione che fai andrebbe messa accanto ad alcuni altri discorsi (ad esempio quelli tenuti nel caso di alcuni funerali o per l’incontro con esponenti religiosi) e ancora messa accanto alla ritualità delle sue uscite pubbliche.

 

 

Uno spunto aggiuntivo: Renzi e Macron

Gli interventi sul mercato del lavoro - come nel caso di Renzi - mi sembrano i più "aperti", e ancor più meritevoli nel caso di Macron che dietro, a spingere nella direzione giusta, non aveva … né Biagi né un pezzo di Cisl.

Mi chiedo, infine, se tra Macron e Renzi non ci sia anche un'altra analogia che ne rivela l’esser assai poco liberali (sempre nel senso anglosassone, o sturziano, del termine).

Tipicamente illiberale, a me pare il loro trascurare il partito. Condividono una inclinazione ad appoggiarsi a prefetti ed a boss locali, in Renzi ancor meno giustificabile che in Macron (vista la qualità media superiore della burocrazia statalefrancese).

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