Ancora su cultura, fede e politica

Non sarà facile liberarsi della forte impressione di somiglianza che Fini e Bersani ci hanno lasciato. (Da "il Foglio" del 23.11.2010, p.4.) Simili nei contenuti: mix di soggettivismo & statalismo. Nulla meglio dall’appendice pro eutanasia poteva sigillare la loro distanza dalla combinazione che dà forma e sostanza alla società aperta: eccedenza della vita & contingenza delle istituzioni. Due progetti gemelli (quelli di Fini e Bersani) di restaurazione monarchica contro le dinamiche poliarchiche del mondo globale del dopo-Westfalia. Simili per la sudditanza alla forma-valore, refrattaria a tempo e spazio, stigma di una comune genealogia razionalista e idealista, mentre la filosofia del dopo Auschwitz si è ricongiunta al pensiero giudaico-cristiano nel riconoscere che la verità della vita non può avere nel valore la sua forma originaria. (Solo una piccola differenza: il perfetto disancoramento spazio-temporale di Bersani vs. un residuo riferimento territoriale in Fini – Italia – che lo renderebbe vincente in una finale a due che speriamo non ci sarà mai.) Ideologia pura: la parte scambiata per il tutto, semplici varianti proposte come uniche alternative. Una operazione di semplificazione culturale funzionale ad una egemonia di pochi. Quando quello, che sul piano del pensiero è deformazione, si trasferisce sul piano della prassi, la ideologia diviene rischio grave e concreto. Se domani il confronto politico e sociale si riducesse a queste due pseudo-alternative, tornerebbe il pericolo di essere un paese di pochi e non di tanti, di pochi abilitati a governare (ma da chi?), dei migliori (perché?), dei saggi (ma quando mai?). La storia italica ben conosce queste pretese di presunte élites. A volte ha sfiorato il baratro del loro spadroneggiare. Piaccia o non piaccia, a ribaltare una deriva pericolosa è stata l’iniziativa del cattolicesimo politico. Essa ha avuto la forza di invertire la tendenza per difendere forma e sostanza della democrazia, di un paese di tanti e non di pochi (poteri irresponsabili). I cattolici l’hanno fatto per loro stessi, certamente, ma anche per tutti, ed insieme a molti. Senza De Gasperi e la Dc, tra il ’43 ed il ‘46, si rischiava una dialettica politica ridotta al confronto tra nostalgici e filosovietici. Dopo il 1992/1993 si rischiava uno scontro tra missini e giustizialisti. Berlusconi sul centro destra (con maggiore successo), Prodi ed il tentativo di fare il Partito Democratico sul centro sinistra (con ben minore successo),  hanno risposto impostando un bipolarismo guidato dalle “mezze ali”. La risposta ha forme diverse ad ogni fase, ma la sfida resta. In questo momento siamo alle prese con una versione nuova della stessa sfida. In questo momento il cattolicesimo politico è provocato per sé e per tutti dal rischio di una democrazia per pochi, che magari comincia con “il governo dei tecnici”, dalla sfida che una cultura soggettivismo & statalismo porta ad una cultura eccedenza (della vita) & contingenza (delle istituzioni): monarchia contro poliarchia. Del futuro del cattolicesimo politico non sappiamo quasi nulla, neppure se vi sarà. Sappiamo solo che avrebbe un ruolo da giocare. Tra le poche cose che sappiamo c’è che, se mai ci sarà, non potrà avere forme già note, adeguate ad un passato che non c’è più, e che dovrà avere forma organizzata. A questo si può ancora aggiungere che il nuovo cattolicesimo politico trarrebbe vantaggio dal rafforzarsi del bipolarismo (la battaglia che viene non è roba da terzi poli, indipendenti o trasformisti), che non dovrebbe rinunciare ad una larga parte della esperienza e delle ragioni della Lega, che dovrebbe saper mantenere la capacità di fare alleanze.

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