Alternanza come condizione per un governo autorevole- FUCI Bari- Pasquino
Tavola Rotonda L’alternanza come condizione per un governo autorevole di Gianfranco Pasquino C'è un accordo di fondo tra la mia riflessione e quella della Fuci, un accordo che si sostanzia in una serie di espressioni, ma soprattutto in una prospettiva che non solo condivido, ma in qualche misura ho anche forse contri buito a elaborare. Ciò nonostante, partecipando a questa tavola rotonda, dovrò sottolineare alcuni punti e mostrare alcuni passaggi in maniera più chiara e talvolta più brutale rispetto alla dolcezza della FUCI e rispetto a come la diplomazia della politica cercherà di piegarli a problemi che certamente rimangono aperti e che non possono essere risolti solo in chiave puramente intellettuale. Credo che il punto di partenza sia un certo distacco della società in generale dal sistema politico, il che non significa che la società sia in questi anni diventata necessariamente migliore del sistema politico. Che la società sia migliore della politica non è vero in assoluto e certamente non è vero nel caso italiano; non è vero soprattutto in prospettiva storica. A lungo il ceto politico italiano è stato in grado di guidare la società e di farlo efficacemente, di proporle obiettivi e traguardi e in fondo di raggiungere alcuni di questi obiettivi.Sarebbe sbagliato quindi fare una proposta di riforma istituzionale che cerchi di capovolgere completamente il ruolo del potere politico e di restituire tutto questo potere ad una società che sappiamo frammentata, divisa al suo interno, spesso corporativizzata e che ha comunque bisogno di unaguida politica. Questo lo dico perché c'è il rischio di pensare che la società italiana sia davvero molto migliore delsuo ceto politico. La mia risposta è -e fatevelo dire da uno che non è iscritto e quindi non deve rispondere necessariamente a nessun ceto politico specifico- che non è così. Però il problema del distacco, dello iato tra la società e il sistema politico rimane, e deve essere quindi impostato e affrontato in termini di reali riforme istituzionali. Tale problema si presenta sotto diversi punti di vista, il primo è squisitamente tecnico e riguarda il funziona mento del sistema politico, in particolare il funzionamento dei rapporti tra parlamento e governo: in questo senso il problema è quello della trasparenza e dell'efficacia delle istituzioni rappresentative e decisionali di questo sistema e delle distorsioni a cui il rapporto tra governo e parlamento è stato piegato in questi anni. Questi sono gli anni di una versione corretta del consociativismo; sono d'accordo con quanto diceva Scoppola su questo tentativo di utilizzare le istituzioni forse non più per acquisire potere, ma per mantenerlo entro un sistema che sente che il potere sta comunque sfuggendo dal suo controllo, per una serie di fenomeni che conosciamo e che producono una incapacità decisionale del sistema. Sappiamo che laddove nessuno decide politicamente, e quindi con il consenso, qualcuno decide fuori, quindi non politicamente e senza consenso, e queste decisioni sono necessariamente meno democratiche delle decisioni che un sistema politico potrebbe prendere se avesse regole e strutture efficaci. E' qui che si pone il problema reale, naturale, assolutamente inevitabile, dell'alternanza. Il problema dell'alternanza non può essere risolto puramente e semplicemente attraverso una serie di regole, lo so benissimo, ma deve essere risolto anche attraverso lacreazione di regole. Citerò qui Weber in un passaggio spesso dimenticato, laddove dice che "la politica si fa con la testa, ma non solo con la testa". In questo caso però vorrei farlo con la testa, lasciando altri passaggi ad alcune delle cose che avete detto e scritto, che sono molto importanti, ma non debbono essere necessariamente nel mio discorso. La realizzazione dell'alternanza richiede certamente un certo tipo di risposta da parte dei partiti, ma senza la risposta dei cittadini non ci sarà nessuna alternanza reale. Ma qua li regole devono cambiare? Io sono uno di quelli che ritiene che molte regole debbano cambiare, che non sia sbagliatoparlare di riforma della Costituzione, e che non delegittima la Costituzione chi dice che bisogna riformarla, ma chi opera contro la Costituzione o al di fuori della Costituzione. Il problema di riforma della Costituzione si pone ormai da un po' di tempo e deve essere risolto prospettando delle rifome che siano nello spirito della Costituzione, ma vadano oltre la lettera, la norma di essa, e che soprattutto vadano oltre le prassi deteriori instauratesi in questo paese. Io penso che si tratti anche di un problema di regole elettorali. Certo non solo di queste: però nessuna riforma istituzionale degna di questo nome può prendere piede, e quindi consentire di sviluppare appieno i suoi esiti, se non è accompagnata da una reale riforma elettorale. I partiti sono in grado di fagocitare tutte le riforme istituzionali possibili, tranne la riforma elettorale. Essa consente alle altre riforme istituzionali necessarie, del parlamento, del governo, delle autonomie locali, di essere davvero efficaci. Seppure non è necessariamente il toccasana, insieme con altre riforme istituzionali può consentire un reale salto di qualità nel sistema politico e istituzionale. Come cambiare queste regole, di fronte alla riluttanza dei vari partiti, che varia peraltro a seconda dei momenti? Come cambiare di fronte a proposte che mirano spesso ad accrescere o a mantenere il potere di un partito, senza prendere in considerazione invece la possibilità di giocare con rischio (io ho sempre sostenuto che le riforme istituzionali buone sono quelle che creano incertezza per i partiti e opportunità per i cittadini)? Credo che la proposta della FUCI di un referendum abrogativo sia una strada sperimentabile, anche se occorre riflettere su alcuni passaggi tecnici includibili. Credo che sia sperimentabile soprattutto perché metterebbe comunque in moto dal basso un processo di riforma e farebbe vedere ai partiti che non possono tenersi nelle mani tutto il gioco elettorale, ma debbono invece confrontarsi con pressioni che vengono dal basso e che sarebbero in questo caso pressioni trasversali, poich é certamente vi sarebbero altri gruppi disposti a sostenere l'idea di un referendum abrogativo di alcuni pezzi: della legge elettorale, in vista della creazione di strumenti più sensibili ai c ambiamenti di opinione dell'elettorato. Faccio un esempio: probabilmente con meno proporzionalità nel 1976 noi avremmo avuto l'alternanza, perché spostamenti così incisivi del corpo elettorale hanno in altri paesi provocato l'alternanza. Bisogna andare allora in questa direzione esplorando quello che il referendum abrogativo può dare, sapendo che di per sé questo non basterà, ma sapendo che la spinta che sta dietro ad un referendum abrogativo produce necessariamente nei partiti una serie di nuovi allineamenti, nuovi schieramenti forse più favorevoli ad intrattenere davvero una riforma elettorale. Di solito si dice che questo è un problema ingegneristico. A prescindere dal fatto che non ho niente contro gli ingegneri e clic, avrei comunque qualche difficoltà a pensare che coloro che hanno creato e cambiato le regole nel mondo occidentale, da Licurgo e Solone ad Hamilton, fossero degli ingegneri, questa è in realtà una grande operazione politica: cambiare le regole, scrivere delle regole nuove, scrivere delle regole col consenso, è la grande operazione che i grandi politici intraprendono. L'introduzione della Fuci usava il termine (in parte weberiano e in parte di Schumpeter) di "imprenditore": è l'imprenditore che cambia le regole perché cambia le regole per innovare e innovando al tempo stesso cambia le regole. In realtà questo cambiamento di regole non sarebbe una pura asettica operazione ingegneristica, ma obbligherebbe i partiti a cambiare molto di più che non semplicemente i loro candidati: a cambiare i loro programmi e la loro prospettiva complessiva. E ciò cambierebbe gli stessi partiti. Su questo bisogna essere chiari: non si arriverà all'alternanza con questi partiti così come sono adesso, ma il fatto stesso che vi si possa arrivare obbligherà i partiti a cambiare, e -quando vi si arrivasse- obbligherà i partiti vincenti a comportarsi in maniera diversa, ed i perdenti a riformarsi immediatamente per presentarsi come possibili vincenti la prossima volta. Ma questa operazione non può che essere effettuata attraverso un grosso dibattito tra i cittadini e una grossa spinta che venga da parte loro. In questo caso direi che il problema riguarda naturalmente soprattutto il PCI, perché l'alternanza in questo paese non può che passare attraverso un governo che includa i comunisti e che veda all'opposizione la DC - ma non necessariamente perché è la DC, ma perché è stato il nucleo del sistema di governi di coalizione che abbiamo avuto finora ed è questa quindi un'esigenza assolutamente imprescindibile. Il problema è quale PCI andrà al governo e quale DC andrà all'opposizione e si ricandiderà al governo. E qui la mia opinione differisce da quella di Nenni, che peraltro criveva quarant'anni fa: credo che la vera sfida storica di questo paese sia di portare al governo non un tradizionale e classico, se ancora esiste, partito socialdemocratico, ma di portare al governo un partito comunista, con tutta la sua carica di cambiamento, la sua carica di trasformazione e con tutta la sua capacità di progettazione. Quindi non un partito che abbia perso la sua spinta innovativa. ma un partit o che la mantenga, che mantenga tutta la sua radicalità,e non un tradizionale partito socialdemocratico. Non perché quest o di per sé già non varrebbe il gioco, ma perché questo mi pare significa ridurre l'ambito del cambiamento possibile entro un quadro troppo ristretto, che forse non basterebbe a risolvere alcuni dei problemi politici di questo paese. E se è così, bisogna rendersi conto che questa alternativa/alternanza non può che essere decisa dai cittadini, e quindi passa attraverso una riforma elettorale che produca le condizioni dell'alternanza sulla quale i cittadini si confronteranno. Credo però che tutto ciò vada qualificato su un passaggio fondamentale. Non si può pensare e in nessun modo proporre un'alternanza che risolva i problemi della vita: la politica risolve alcuni problemi, ma non può dare una risposta globale, e sarebbe sbagliato prospettare l'alternanza come un toccasana non solo per il sistema politico italiano, ma in qualche modo per la vita di ciascuno di noi o per la vita collettiva. L'alternanza risolve alcuni problemi, soprattutto il problema storico di questo paese, che è un problema di alternanza, dal 1876, ma non può essere caricata di altri problemi. C'è anche il bisogno di dare un senso alla vita, ma non lo si trova necessariamente nell'alternanza. Nell'alternanza si trovano le condizioni per cui ciascuno e tutti possano giudicare di chi prende le decisioni che alla fine incidono sui nostri modi di operare, sui nostri comportamenti e sulla vita quotidiana, ma non certo la risposta complessiva a questi problemi. Alla fine di questo processo, se avremo operato bene nel creare le regole - passaggio tutt'altro che marginale - e poi nel farle funzionare, e quindi nel renderci conto anche delle eventuali sbavature che possono esserci state, credo che saremo tutti diversi, cittadini e partiti, governanti e governati. Credo anche che saremo probabilmente migliori, ma il punto cruciale è che se non lo fossimo ancora diventati, la regola dell'alternanza, applicata di volta in volta, ci consentirebbe di diventarlo, o almeno di obbligare chi governa a diventare migliore se vuole davvero vincere le elezioni. Solo così potremo uscire dalla situazione nella quale ci troviamo e nella quale siamo ormai giunti all'elogio del governo moscio. Ecco, io non voglio un governo moscio, ma un governo autorevole, autorevolmente insediato dai cittadini e altrettanto autorevolmente sbalzato di sella quando non sappia come governare e che cosa fare. Gianfranco Pasquino* *Ordinario di Scienza della politica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna, Senatore - eletto come Indipendente nelle liste del PCI
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