5 a 2 oppure 7 a 0?

I calcoli sono sempre opinabili. Due più due fa sì quattro, ma “2” cosa? “4” cosa? La prima scelta, quella dopo la quale il calcolo può anche essere automatizzato, è quella che si fa prima che il calcolo cominci. è la scelta di “cosa” contare. E questa scelta non è mai frutto di un calcolo. Ciò non significa che tutti i calcoli, anche se correttamente svolti, sono falsi. Al contrario, significa che tutti i calcoli correttamente svolti sono veri. Nessuno cancella o zittisce gli altri. Anzi, metterli a fianco aiuta a valutare la sensatezza delle opzioni iniziali e decisive: quelle che non possono essere calcolate.   Questo elementare principio può tornare utile in sede di valutazione dei risultati delle elezioni regionali di Domenica scorsa. è lecito dire che sono finite 5 a 2. Ma forse è anche lecito dire che sono finite 7 a 0 (ma non il 7 a 0 cui Renzi puntava!)   Per dire che sono finite 5 a 2 bisogna concentrarsi sul Pd (e più in generale sul centro-sinistra più allargato che si possa immaginare). è una scelta legittima? Certo. Occorre però essere consapevoli che si tratta di una scelta che assume come principium individuationis le mere etichette. Gli ultimi mesi, infatti, ci hanno insegnato che il Pd è una etichetta, non un attore politico unitario. Le politiche del governo Renzi nella maggior parte dei casi sono passate spaccando il Pd. Renzi ed i suoi non lo hanno neppure provato a nascondere. Anzi più volte lo hanno ostanto. Quante volte hanno minacciato di prendere (ad es.) da Verdini i voti che un pezzo di Pd gli avrebbe negato? Le regionali sono finite 5 a 2? Sì, ma se badiamo solo alle etichette (o a quella che Bersani chiamava la logica della “ditta”).   Proviamo ora a cambiare punto di vista. Assumiamo il punto di vista del “Renzi riformista”, quello della “volta buona”, del superamento del bicameralismo perfetto, del 50% di riforma del mercato del lavoro (i principi del jobs act non valgono per i dipendenti pubblici), di quel tot di buono che c’è nell’italicum (premio al partito invece che alla coalizione). Allora il conto cambia, e di molto.

  1. Tutti i candidati governatori del Pd non erano certo renziani. Erano espressione di quei gruppi di potere locali, consolidatisi ben prima di Renzi, transitati attraverso infinite stagioni, e che Renzi non ha neppure provato a “rottamare”. Particolarmente palesi i casi Umbria, Toscana, Campania e Puglia. (Lo stesso era avvenuto in Emilia Romagna.) Appena un po’ più velati gli altri.
  2. A perdere sono state le due candidate (Paita e Moretti) passate al fronte renziano senza un proprio gruppo di potere locale.
  3. Sconfitta nella sconfitta, per Renzi, gli elettori campani non gli hanno fatto mil favore di bocciare De Luca. Non gli hanno risolto il problema in cui si è cacciato pensando di fare politica senza dare battaglia nel partito, né quello che gli ha creato la interpretazione estrema data da Rosy Bindi della legge sugli “impresentabili” e del codice etico. L’avessero bocciato, Renzi avrebbe potuto “fare la vittima” contro la Bindi, non avrebbe avuto tra i piedi la sgradevole alternativa tra cacciare lui il (ormai) “suo” De Luca o cambiare per lui una legge ed un codice etico bandiera del Pd giustizialista ed alla cui applicazione contro Berlusconi Renzi stesso aveva plaudito.
Dunque, dove mai Domenica avrebbe vinto il Renzi riformista? Da nessuna parte.   Se è corretto dire che il Pd ha vinto 5 a 2 (intendendo per “Pd” un brand localmente e nazionalmente usato in franchising), è altrettanto corretto dire che Renzi ha perso 7 a 0 (almeno il Renzi riformista).   E non è tutto.
  1. Ai potentati locali del “suo” (?) Pd Renzi ha fatto una legge elettorale su misura. Anche se potesse scegliere tutti i capilista, il grosso del suo gruppo parlamentare (nel caso di vittoria) sarebbe costituito dai beneficiati dal voto di preferenza che in periferia non controlla certo lui ma i “suoi” (?) governatori.
  2. Salvini (e soprattutto Zaia e Maroni) non sono la Le Pen e il Fn, e il centro destra sta pochi punti sotto il centro sinistra (e molti sopra il M5S), con molti astenuti recuperabili ed in un paese in cui ed in un momento nel quale il vento non spira certo verso sinistra. In questo modo, e per di più sconfiggendo Verdini in Toscana, Tosi in veneto e Fitto in Puglia, Berlusconi ha dato un’altra volta il suo contributo a non far scomparire il bipolarismo e una possibilità di alternanza. Dopo le regionali la caricatura centrista, centralista e trasformista del “partito della nazione” è una possibilità forse definitivamente bruciata. (Per fortuna.) Ora resta solo la possibilità della versione originale del “partito della nazione”, quella di un partito di sinistra (nel caso del Pd) che isola i conservatori e guadagna consensi liberali e riformisti verso l’area centrale dell’elettorato. Tuttavia, nella versione originale, il “partito della nazione” è una operazione molto più difficile, che non si fa senza partito e senza idee chiare e connesse: due cose cui sinora non è parso molto interessato.
  3. Il Renzi riformista è destinato ad uno scontro ancora più duro con la minoranza (?) interna ringalluzzita dall’esito elettorale. Molti deputati e senatori sanno che non avranno un futuro parlamentare (se non altro per la riduzione dei seggi disponibili) e ora sanno che nella composizione delle liste i poteri locali peseranno almeno tanto quanto Renzi. Tireranno a durare, e più passa più le cose si fanno difficili per il Renzi. I conservatori del Pd potranno rimpicciolire ancora il riformismo renziano e questi non potrà minacciare le elezioni anticipate. Prima dell’entrata in vigore dell’italicum si voterebbe con la proporzionale pura, ma anche dopo sarebbe difficile per un premier andato a Palazzo Chigi senza passare le elezioni ottenere uno scioglimento dal “suo” (?) Mattarella. Tra l’altro, perché mai Berlusconi e gli antirenziani del Pd non potrebbero far un loro Nazzareno anti-Renzi? Lo fecero già contro Prodi.
  4. Infine, non si trascuri il pessi risultato del Pd al Nord. Proprio nell’area in cui le politiche riformiste dovevano essere potenzialmente più apprezzate.
  Insomma: ha più senso dire che le regionali sono finite 5 a2 per il Pd oppure 0 a 7 per Renzi?   Oggi appare forse più chiaro che Renzi (o per lo meno il Renzi riformista) ha perso un anno. Sia al governo che nel partito ha fatto troppo poco. Non che non abbia fatto alcunché, ma certamente non ha fatto abbastanza. Il tempo che gli resta e le condizioni in cui si trova saranno sufficienti per non dover considerare conclusa una stagione di riformismo almeno balbettato?  

Condividi Post

Commenti (0)