“Solo un’Europa “keynesiana” salverà l’Italia”. Intervista a Giorgio Tonini
Ieri a Bruxelles sono stati definiti i “top job”, gli incarichi di vertice, della nuova Commissione Europea. Il quadro si è completato, oggi a Strasburgo, con l’elezione dell’italiano David Sassoli, parlamentare del PD, a Presidente del Parlamento Europeo. Quali sfide la nuova Europa dovrà affrontare? Quali conseguenze per l’Italia? Ne parliamo, in questa intervista con Giorgio Tonini. Tonini è Capogruppo regionale e provinciale del PD in Trentino.
Giorgio Tonini, dopo l’esperienza romana si è tuffato nella sua “patria di elezione”: il Trentino. Anche qui ha soffiato forte il vento leghista. Visto dal Trentino com’è il salvinismo? Quali contraddizioni stanno emergendo?
Voi trentini siete la patria di De Gasperi, uno dei tre padri fondatori dell’Europa. Ieri a Bruxelles, è nata la nuova Commissione. Si spera sia all’altezza della situazione drammatica. Le chiedo una prima impressione sulle nomine….
I “top jobs”, gli incarichi di vertice, in Europa vengono attribuiti sulla base di un complesso incrocio tra i rapporti di forza tra le famiglie politiche rappresentate al Parlamento europeo e le relazioni tra i governi nazionali nel Consiglio europeo. Cinque anni fa, questo incrocio aveva portato ad un accordo tra la Germania della signora Merkel, capofila della famiglia popolare, e l’Italia di Renzi, capofila di quella socialista e democratica. Questa volta, lo spazio aperto dall’indebolimento della Merkel e dall’uscita di scena del Pd, è stato rioccupato dalla Francia di Macron, capofila della componente liberale, uscita rafforzata dalle elezioni europee. Sulla carta, e nelle speranze di chi crede nell’Europa politica, questo esito dovrebbe consentire una ripresa e un rilancio della posizione federalista, in particolare sulla decisiva questione del bilancio dell’Eurozona. Ma si tratta pur sempre di una soluzione di compromesso e, al di là dei nomi, tutti di spessore e con una importante svolta “rosa”, non sappiamo ancora quasi nulla sui risvolti di tipo programmatico.
Fa impressione che l’Italia, che qualcuno ha definito come il “dottor Jekyll e il mister Hyde d’Europa”, sia stata accanto a Polonia e Ungheria contro un socialista amico dell’Italia (che poteva dare una mano sui migranti). Come giudica il comportamento italiano? L’Italia Riuscirà ad avere un vicepresidente?
Con le elezioni politiche del 2018 e quelle europee del 2019, l’Italia è entrata nel club dei paesi europei governati da una coalizione populista. Ed è quindi uscita dalla cabina di regia delle grandi famiglie politiche variamente europeiste (popolari, socialisti, liberali, in parte verdi), che per quanto indebolite sono ancora quelle che danno le carte nel grande gioco europeo. Non a caso l’unico “top job” conquistato dall’Italia è la presidenza del Parlamento europeo, assegnata a David Sassoli del Pd, in quota “socialisti e democratici”, dunque ad un’esponente di un partito che in Italia è all’opposizione. L’Italia della maggioranza populista si è cacciata da sola in un angolo. E certamente, bocciando Timmermans a causa del diktat di Salvini, ha perso la sua ultima, perfino inaspettata, occasione: quella di far parte della coalizione che eleggeva il Presidente della Commissione. A questo punto l’Italia avrà certamente un commissario europeo, vedremo con quale delega e se avrà o meno i gradi di vicepresidente. Ma sarà comunque in seconda fila.
Lei ha scritto, sul quotidiano trentino “l’Adige”, che nel prossimo Parlamento Europeo si scontreranno tre visioni dell’Europa. Quali sono e cosa rappresentano?
Schematizzando, le tre posizioni principali mi pare che siano quella degli “europeisti conservatori”, rappresentata dai popolari a guida tedesca; quella degli “europeisti federalisti”, liberali, socialisti e democratici, in parte anche verdi, guidati da Macron; e la galassia dei “sovranisti”, inglesi, italiani, est-europei. Quest’ultima componente, per quanto cresciuta elettoralmente, resta politicamente marginale, al massimo può condizionare, ma non determinare le decisioni politiche europee, che restano di fatto una risultante del rapporto negoziale tra conservatori a guida tedesca e federalisti a guida francese. I primi tendono a conservare lo status quo, perché sono quelli che ne hanno tratto maggior beneficio. In particolare i tedeschi hanno raggiunto un delicato equilibrio tra finanza pubblica sana, avanzo commerciale, crescita moderata e piena occupazione, che hanno una comprensibile ritrosia a mettere in discussione. Una più forte spinta alla crescita in Germania, come sarebbe auspicabile e anche prescritto dal Fiscal Compact, significherebbe infatti per Berlino aprire le porte ad una ancora più massiccia immigrazione, con tutti i rischi che questo comporterebbe. Diversa la posizione francese, che punta a guidare il gruppo di partiti e paesi che hanno interesse ad un’Europa più “americana”, nella quale il necessario risanamento delle finanze degli Stati sia reso sostenibile da una forte azione anti-ciclica, “keynesiana”, dell’Unione, attraverso la “Fiscal Capacity”, la capacità di bilancio, dell’Eurozona. Insieme ai francesi, gli italiani sono quelli che hanno il maggiore interesse al successo di questa linea politica. Il problema è che la maggioranza populista che governa e rappresenta in Europa il nostro paese ha collocato l’Italia su tutt’altra traiettoria…
Questo governo italiano è quello meno europeista della storia della repubblica. Epperò continua a chiedere flessibilità di bilancio. È giusto questo atteggiamento? Salvini dice: l’Italia è tra i maggiori contributori, ci diano quello che si spetta…
Questo è l’atteggiamento storicamente sostenuto dagli inglesi. “I want my money back!” Rivoglio indietro i miei soldi, diceva Margaret Thatcher. Questa strada ha portato il Regno Unito nel pantano della Brexit… Quanto alla flessibilità ne abbiamo avuta e continuiamo ad averne tanta. Ma la flessibilità serve a comprare tempo, non a risolvere il rompicapo italiano, fatto di alto debito, forte avanzo primario e bassa crescita. Noi abbiamo bisogno di un motore europeo (il bilancio dell’Eurozona) che spinga sulla crescita. Solo in questo modo possiamo portare l’avanzo primario ad un livello tale da ridurre il debito, senza contraccolpi sul piano sociale e politico. Ma se non è stato capace il Pd di spiegare questa elementare verità agli italiani e di aggregare su questa piattaforma il consenso necessario, come si può sperare che lo facciano i populisti?
Sfioriamo, per un attimo, il tema del PD. Rispetto alla volta scorsa i numeri sono dimezzati. C’è la possibilità di avere un ruolo?
L’elezione di Sassoli dice che il Pd è ancora in gioco in Europa. Per me questa è una notizia molto importante, perché credo che il Pd potrà tornare a vincere in Italia solo se riuscirà a porsi tra i protagonisti di un cambiamento in Europa. Come ho già cercato di dire, la soluzione del rompicapo italiano (per ridurre il debito dobbiamo mantenere, anzi aumentare l’avanzo primario, ma gli italiani non ne vogliono più sapere di fare l’avanzo primario più grande d’Europa; e d’altra parte se smettiamo di fare avanzo primario il debito diventerà insostenibile…) può arrivare solo da una svolta “keynesiana” dell’Europa. Il Pd deve intestarsi questa battaglia e selezionare gli alleati in Europa sulla base di questa discriminante. Se riusciremo a fare questo, disporremo di un’alternativa praticabile e convincente per il Paese, quando l’attuale coalizione populista andrà in crisi.
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