Semipresidenzialismo, una partita da giocare

Francesco Clementi su QdR http://www.qdrmagazine.it/2012/5/29/63_clementi.aspx sintetizza con grande efficacia le ragioni per cui il PD non può stare a guardare né può limitarsi a tirare fuori dall’armadio armi ormai spuntate: deriva plebiscitaria, democrazia autoritaria, eccesso di personalizzazione. La proposta di riforma semipresidenziale, accompagnata da un coerente sistema elettorale sia per l’elezione del Presidente che per quella delle Camere, è una variante disponibile per raggiungere gli obiettivi che conosciamo come essenziali da almeno 25 anni, dalla fine della “conventio ad excludendum”, vero architrave della costituzione materiale dal 1947 alla caduta del Muro. Obiettivi che i costituenti avevano messo in secondo piano per ragioni contingenti di quadro internazionale e che corrispondono ai requisiti di una democrazia decidente: un governo capace di decidere, guidato da una leadership personalizzata legittimata dal voto degli elettori, dentro un solido sistema di garanzie nel quale non ultima parte è giocata dal ruolo determinante dell’opposizione e delle sue prerogative. Quel sistema di garanzie al quale fa giustamente riferimento oggi Napolitano, un Presidente che ha esercitato i poteri presidenziali in un regime parlamentare svolgendo sino in fondo il ruolo di reggitore dello stato nei periodi di crisi, finendo tuttavia con il mettere implicitamente in evidenza come quei poteri fossero tutt’altro che neutri o meramente arbitrali. E alimentando così una richiesta, difficilmente resistibile, di una qualche loro forma di legittimazione politica. In forme diverse, frutto del congelamento di diverse soluzioni istituzionali, tutte le grandi democrazie competitive sono oggi in grado di perseguire ordinariamente gli obiettivi di una democrazia decidente. E ne toccano con mano l’efficacia in termini di responsabilizzazione dei governanti e di capacità decisionale. Non serve certo ricordare gli effetti politici, tutt’altro che formali, delle vistose differenze nella cruciale combinazione tra sistema di governo e sistema elettorale che abbiamo visto all’opera qualche settimana fa tra la Francia della Quinta Repubblica (forse sesta, dopo le riforme del 2000) e il parlamentarismo proporzionalistico della Grecia. Si tratta dunque di prendere una posizione, di argomentare la praticabilità di un percorso politico: la cassetta degli attrezzi è lì a dimostrarci che non ci sono ostacoli di tipo costituzionale come spiega chiaramente Stefano Ceccanti nel suo post. Scontata l’opposizione delle estreme (le prime che vedrebbero sacrificato il loro potenziale di ricatto in un coerente assetto riformato, e quindi le prime a temere per il ridimensionamento del loro ceto politico) tre mi sembrano gli ostacoli, i possibili rischi e i pericoli. Il primo, l’ostacolo, il conservatorismo costituzionale di tanta sinistra, di tanto mondo cattolico, sia a destra che a sinistra e di tanta opinione pubblica progressista, penso a Repubblica. Un conservatorismo che sembra ignaro del fatto che anche Dossetti riconduceva gli eccessi garantistici e parlamentaristici della forma di governo della costituzione repubblicana a una necessità storica contingente e non a un’esigenza dottrinale. Mi chiedo, per altro, come facciano ad opporre ragioni di principio al semipresidenzialismo coloro che fino a pochi mesi fa teorizzavano che un Presidente come il nostro potesse revocare senza problemi un Presidente del Consiglio in grave crisi di legittimazione ma certo non sfiduciato e decidere da solo lo scioglimento anticipato delle Camere “contro” il Presidente del Consiglio e una maggioranza ancora esistente. Il secondo, il rischio, il gattopardismo della sinistra, pronta - come lo era alla fine degli anni novanta - a svuotare il modello semipresidenziale in ragione di un presunto rischio autoritario. Con la scusa che il Parlamento deve controllare il Governo, quando invece sappiamo che è l’opposizione in Parlamento il vero strumento di controllo. E con l’effetto di finire con il confezionare una sorta di parlamentarismo con presidente, quello sì esposto, per effetto della tensione tra legittimazione diretta e debolezza dei poteri, a pericolosi slittamenti. Il terzo,  il pericolo, l’orientamento di breve periodo del centrodestra che ha condizionato per oltre 20 anni le politiche di riforma istituzionale. Campo di elezione di questo orientamento, distruttivo quando si parla di riforme istituzionali, il sistema elettorale per il quale il centrodestra ha sostenuto tutto e il suo contrario. Ma ora che proprio da lì viene la proposta da sempre sostenuta dalla maggioranza del riformismo di sinistra, come evitare di giocare fino in fondo la partita?

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