Il riformismo cattolico: forza mite e nuove prospettive, di Paolo Bonini

 

Editoriale, 21 Maggio 2022

 

“La forza mite del riformismo” è il titolo di un volume fresco di stampa che raccoglie gli scritti di Giorgio Armillei [1]e che ci permette di elaborare alcune riflessioni sul riformismo cattolico italiano.

 

Oggi il termine e il significato di riformismo sono noti a pochi. Eppure, non sono solo come l’energia per un sistema, necessaria per evolversi e per aggiornarsi, ma sono anche una tensione culturale capace di superare le situazioni di fatto per modificare la struttura o la sostanza del sistema giuridico e politico-economico e sincronizzare il tempo della società al tempo della storia.

 

Il riformismo cattolico che ha sempre affascinato gran parte della cultura laica è come il lievito nei processi sociali e si caratterizza da due elementi peculiari [2].

 

Il primo è quello politico-culturale: lo scopo finale tende sempre al bene comune e si ispira ai princìpi della Dottrina sociale; il metodo è basato sul dialogo incessante e pluralista; lo stile di chi tesse le riforme emerge dall’impegno concreto e libero che porta ad un magis, un più qualitativo nelle relazioni.

 

Il secondo elemento è di orizzonte: nella storia personale dei singoli (riformisti) si aggiunge un campo di azione, al quale si contribuisce e nello stesso tempo ci si definisce [3].

 

L’impegno riformista civile e politico

 

si svolge anche nella dimensione ecclesiale, che include sconti e incontri, incomprensioni e tempi di maturazione diversi nei processi che si generano. L’esempio è il cammino sinodale che la Chiesa sta promuovendo in ogni angolo del mondo [4] che deve tenere insieme tradizione e modernità, forma e sostanza, fedeltà e creatività.

 

Nel Novecento le ideologie sono state il freno del riformismo. Dall’immediato dopoguerra, la Democrazia Cristiana aveva rappresentato la modalità unitaria (ma dialettica) del riformismo cattolico. A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, la Chiesa italiana e il sistema politico hanno affrontato diversi momenti di frattura.

 

Il primo è stato nella divisione tra la cultura della “mediazione” e quella della “presenza-identità” che sperimentavano il rinnovamento promosso dal Concilio Vaticano II. Su questa linea di faglia, si sono affermate nuove realtà ecclesiali come Comunione e Liberazione, Mcl e altre, mentre si è stabilizzata la tradizione dell’associazionismo cattolico a cui appartengono Fuci, Acli, Azione Cattolica e altre.

 

Il laicato cattolico si divide al di qua e al di là di questa prima frattura. È da qui che emerge la fisionomia cattolico democratica, come sintesi tra la lealtà alle istituzioni del cattolicesimo liberale e l’impegno per le politiche promosse dal cattolicesimo sociale [5].

 

Nel sistema politico e partitico, invece, la prima grande linea di faglia si genera con la leadership di Zaccagnini e di Aldo Moro nella Democrazia Cristiana [6].

 

Il secondo nodo è rappresentato dagli anni a cavallo del secolo quando l’esplosione del sistema politico italiano con la fine della DC e l’emergere di nuovi partiti, rimette in discussione la collocazione e il peso sociopolitico dell’associazionismo ecclesiale, che pur continua ad esercitare un forte ruolo formativo e culturale.

 

La Chiesa italiana si organizza in modo istituzionale interagendo direttamente con gli attori sociali sulle diverse questioni politiche tramite la CEI, in applicazione del Concordato. Il laicato si trova quindi smarrito tra due opzioni di fondo: seguire la direzione promossa dai vescovi organizzati, sbilanciati sulla ricostruzione dell’identità all’interno della società oppure elaborare una propria linea di impegno autonomo all’iniziativa della CEI verso l’autonomia dei “cattolici adulti”.

 

Tra questi poli rimane il «grande flusso» della cultura liberale e democratica del riformismo cattolico. Giorgio Armillei nei suoi scritti lo spiega bene quando ricompone le posizioni di Ruini e di Scoppola all’interno dello stesso quadro culturale, come due posizioni di gioco diverse ma nella stessa partita [7].

 

Cosa rimane di tutto questo oggi? Forse le cicatrici di ferite che si sono ricomposte e che non sanguinano più. Anzi, queste sono quasi invisibili per la generazione tra i 20 e i 40 anni. Rimane il ricordo di tempi in cui lo spazio e le energie dedicate al dibattito ecclesiale “interno” erano giustificati da una dimensione numerica e da una rilevanza sociale generale dei cattolici diversa da quella attuale.

 

Alla «prima generazione incredula» [8] ne sono seguite altre di non credenti, agnostiche e atee. Il sistema politico si è più volte ricomposto senza mai rinnovarsi davvero anche dopo la crisi del bipolarismo imperfetto degli anni intorno al 2010. Segue la storia che conosciamo: la crisi economica prima, la pandemia poi e adesso la guerra in Europa che ci tocca da vicino. Con quale visione ne usciamo? In quali principi ci ritroviamo? Quale funzione ha oggi la cultura riformista? Sono alcune domande che ci si pone per rispondere alle esigenze pratiche delle giovani generazioni e a quelle generazioni che si sono lasciate guidare dalle ideologie del Novecento.

 

Il pontificato di papa Francesco ci esorta a guardare alle riforme con un atteggiamento originale e realista. Cadere nella trappola delle ideologie rischia di rendere sterile l’intero movimento culturale e istituzionale che il riformismo cattolico è in grado di (ri)generare [9].

 

In questa fase non ha più senso dividere (senza moltiplicare) le energie intellettuali e culturali che l’associazionismo ecclesiale tradizionale, il movimentismo cattolico, le diocesi e i vari livelli della sussidiarietà ecclesiale possono generare.

 

È l’ora di una coraggiosa fase di cambio di prospettiva e di dialogo tra le componenti della Chiesa italiana.

 

Ma occorre scegliere se ciò che unisce è più forte di ciò che divide. E poi consegnare le faglie del Novecento all’analisi storica per affrontare i cambiamenti di questo tempo con una rinnovata energia di critica e azione politica.

 

Lo ribadisce così Armillei: «Le istituzioni non sono forma, ma sostanza. Certe istituzioni impediscono certe politiche di riforme. Per questo per fare le seconde occorre cambiare le prime» [10].

 

Ce lo ha testimoniato bene anche David Sassoli. Tra le riforme non più rinviabili troviamo quella del lavoro, dei meccanismi fiscali per valorizzare la persona e le famiglie (con una revisione dei tributi e del sistema ISEE) e della scuola.

 

Continua dunque l’impegno della grande tradizione del riformismo cattolico, in una prospettiva democratica e liberale (insieme). Con coraggio si parta dal mettere alla prova i nuovi stili proposti dal pontificato (ad esempio la sinodalità), anche per renderli concretamente operativi e riempirli di contenuti, programmi e azioni per la crescita della persona e della comunità.

 

In una parola, occorre appartenere a un riformismo che guardi “Avanti e in Alto” [11].

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[1] Impegnato nell’Azione Cattolica a Terni, formatosi nella Federazione Universitaria Cattolica Italiana e scomparso prematuramente l’anno scorso. La pubblicazione dell’antologia curata da Stefano Ceccanti e Isabella Nespoli.

 

[2] Spesso si preferisce utilizzare il termine “cristiano” per indicare la dimensione ecclesiale in diversi contesti, anche per evidenziare un’identità comune, in un’ottica ecumenica. Tuttavia potrebbe essere utile rivalutare l’utilizzo del termine “cattolico” non in una prospettiva identitaria, bensì per evidenziare la specificità positiva del contributo ecclesiale italiano.

 

[3] Basti citare l’esperienza personale di Aldo Moro, Vittorio Bachelet, David Sassoli.

 

[4] Dimensione composita, che dipende molto dalla storia personale del singolo e del contesto comunitario in cui si sperimenta.

 

[5] Cfr. G. Tognon, Il cattolicesimo democratico nella lezione di Pietro Scoppola, in Humanitas, 75, 5, 2020) 820-848.

 

[6] Questi passaggi sono ben riassunti da S. Ceccanti e I. Nespoli nella prefazione a G. Armillei, La forza mite del riformismo. Riflessioni di un cattolico liberale sulla crisi di inizio secolo, Bologna, 2022, 11-17, dove si spiega in modo sintetico e schematico anche il rapporto ‘organico’ tra l’associazionismo tradizionale (Fuci, Meic, Acli, Cisl) e le correnti Forze nuove e Base della DC per Moro, da una parte, e dei nuovi movimenti ecclesiali «sorti per scissione moderata dall’associazionismo conciliare» e le componenti moderate della DC, rappresentate da Forlani.

 

[7] In particolare, cfr. G. Armillei, La forza mite del riformismo, cit., 299-301, nonché V. Paglia, Chiesa eucaristica e città pluriforme, in ivi, 276-280.

 

Cfr. F. Bonini, Una nuova soggettività istituzionale: la CEI e il cattolicesimo italiano, in E. Asquer, E. Bernardi, C. Fumian, L’Italia contemporanea dagli anni Ottanta a oggi. II. Il Mutamento sociale, Carocci, Roma, 2014, 305 ss.

 

[8] A. Matteo, La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, Rubettino, Soveria Mannelli, 2017 (n.ed.).

 

[9] Le ultime ideologie che possono sviare il riformismo sono una malintesa concezione di moderatismo e progressismo. Padre Sorge ha definito il riformismo cattolico come “riformismo coraggioso”, cioè uno stile di programma e di impegno politico che distingua le idee discusse nel dibattito, combattendo quelle sbagliate e ingiuste; che tenga sempre presente la solidarietà e quindi rifiuti l’atteggiamento del ‘progresso’ in quanto tale, che sviluppa solo la libertà individuale con una tendenza nichilista o libertaria. Come spiega anche in un video disponibile online, il cattolico «non è un moderato – se non nel senso che riconosce il diritto dell’avversario, rispetta colui con il quale è in contrasto, ribadisce i problemi fondamentali della persona – ma è un coraggioso riformatore: il Vangelo porta novità di vita, quindi c’è bisogno di una presenza che sia fermento e questo è il punto fondamentale. No al moderatismo, no al progressismo individualistico libertario, ma sì invece a un riformismo coraggioso che traduca la spinta evangelica in programmi, in azioni che diano soprattutto il primato alla persona ma anche alla comunità. Diritti personali e diritti sociali, con preferenza delle realtà sociali meno forti che rischiano l’emarginazione e che sono invece i primi nell’interesse del servizio cristiano».

 

[10] G. Armillei, La forza mite del riformismo, cit., 11.

 

[11] Per un’immagine dell’approccio del riformismo cattolico, si rinvia a una riflessione ormai ‘classica’ di padre Occhetta sul suo blog, che riprende la metafora di Pierre Teilhard de Chardin sulla montagna e la felicità.

 

 

Da Comunità di connessioni, 21 maggio 2022

 

https://comunitadiconnessioni.org/editoriale/riformismo-cattolico-forza-mite-nuove-prospettive/

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