Hamon, la Lega il Movimento 5 stelle, di Giorgio Armillei
Buona parte dei media che si sta impegnando per spingere il PD ad appoggiare in varie forme un governo M5s, si sbraccia allo stesso tempo per dimostrare che Lega e M5s non sono tra loro compatibili. Se ne intuisce la ragione di sistema: per agganciare il PD al M5s è necessario dimostrare che il M5s non ha nulla a che fare con la Lega, erigendo un muro invalicabile. E giù fiumi di parole per spiegare che la Lega esprime il nord produttivo e il M5s il sud assistenzialista, che la Lega difende il tradizionalismo conservatore e il M5s nuota nell'acqua del radicalismo individualista, e così via. L’impeto appare però inversamente proporzionale alla plausibilità delle affermazioni. Non è infatti difficile argomentare esattamente l’opposto: quella tra Lega e M5s è l’unica alleanza naturale che ha la maggioranza in parlamento. Cosa produca di buono per il paese non è per niente certo, anzi il rischio è che ci faccia velocemente deragliare. Resta che è l’unica che può farcela rispettando allo stesso tempo il voto del 4 marzo. Altre alleanze non hanno i numeri, oppure sono così eterogenee da aggiungere al deragliamento una specie di annunciata guerra civile interna, salvo una capitolazione del junior partner. Sommando così alla fine difficoltà a difficoltà. Ma davvero Lega e M5s possono coesistere? Innanzi tutto, Lega e M5s si scambiano elettori fin dalle elezioni locali del 2011. Gli scambi sono proseguiti, con movimenti di andata e ritorno, nelle elezioni del 2013, in quel caso la destinazione era il M5s, e poi nelle elezioni di domenica scorsa, con destinazione Lega. Persino a Reggio Calabria il 5% degli elettori ex M5s ha votato Lega. A testimonianza del fatto che una parte rilevante di quell'elettorato sceglie di volta in volta il leader e il partito che di più si avvicinano allo stato del proprio sentimento, pur restando nel grande e unico contenitore del populismo illiberale. Non solo. In tema di orientamenti di policy, per quanto la cosa possa essere rilevante in una fase in cui la cattura dell’elettore più che sulle politiche avviene sul più generale frame interpretativo, gli elettori di Lega e M5s pensano molto spesso le stesse cose. In un ultimo studio elettorale del CISE, pur con tutte le cautele del caso, su 19 questioni di policy che sono sul tavolo del prossimo governo e della prossima maggioranza, troviamo gli elettori dei tre partiti (Lega, M5s e PD) così aggregati: su 11 questioni la vicinanza è tra Lega e M5s contro PD; su 5 c’è vicinanza tra tutti; su 2 questioni è tra M5s e PD contro la Lega; su una questione c’è vicinanza tra PD e Lega. Le aree di vicinanza tra Lega e M5s sono dunque il doppio di quelle tra PD e M5s. Le versioni più estremiste della flat tax e del reddito di cittadinanza sono il vero terreno di dissenso tra gli elettori che hanno sostenuto i partiti del populismo illiberale. E non so quanto reggerebbero alla prospettiva di qualche incarico ministeriale o di governo. La convergenza dunque è nei fatti. Che poi siano fatti che la tattica politica di qualche cerchia di potere – come si stabilisce definitivamente la leadership del centrodestra? Chi prende lo scettro del populismo di sinistra? - decide di accantonare o ignorare è un’altra questione. Ed è una convergenza che fa paura a quella parte di PD che si vedrebbe costretta a fare i conti con un punto altrettanto oggettivo: la polarizzazione tra populismo illiberale e liberalismo. Obbligando il PD a scegliere il suo superamento, pena l’innesco di una sindrome francese o greca. Insomma, l’alleanza Lega M5s non fa paura per quello che dice ma per gli effetti che produrrebbe su chi ancora oggi pensa che la stagione renziana abbia costituito una parentesi in cui qualche marziano ha usurpato una lunga e gloriosa storia di sinistra. Ma dietro l’angolo non si ritroverà Corbyn o Sanders – per altro sconfitti, non serve ricordarlo - ma un più malinconico Hamon.
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