Ancora su magistratura e politica, di Giorgio Armillei
1. Il recente intervento del Presidente Mattarella e la sua costante opera di moral suasion sul caso CSM risultano particolarmente utili in questa fase turbolenta. Siamo di fronte a modalità soft di governo della crisi. Qualcuno ritiene che potrebbe fare di più. Glielo consente la Costituzione nella forma del messaggio alla Camere se – come lui stesso dice – la situazione esige interventi legislativi e non solo cambiamenti nei costumi e nelle pratiche. Glielo consente la Costituzione che gli fa presiedere il CSM, e da Saragat in poi si è capito quanto questa presidenza sia tutt’altro che formale. Glielo consentono i poteri di esternazione e la natura a fisarmonica delle sue funzioni di reggitore nelle fasi di crisi. Ma si sa che come tutti i poteri politici anche quelli presidenziali sono discrezionali, e dunque Mattarella segue legittimamente una sua linea di politica della giustizia, anche se non partigiana o legata a indirizzi politici di maggioranza. Detto questo, l’intervento di Mattarella non chiude la questione. Al contrario saggiamente la apre o la riapre, stabilisce il campo di gioco, ricorda le regole e mette a fuoco la posta in palio. Ora si tratta di giocare la partita, facendo i conti con compagni di squadra e avversari, tattiche difensivistiche, vecchi catenacci all’italiana, moduli di attacco e così via. C’è stato il fischio di inizio ma dove sono i giocatori? Il governo ha mosso qualche passo. Ma sembra un semplice riscaldamento preparatorio. A che punto siamo dunque?
2. Molti sostengono che porre oggi la questione dello squilibrio tra autonomia e responsabilità della magistratura, soprattutto dei pubblici ministeri, sia una minaccia per la divisione dei poteri e apra la strada al rischio di involuzioni illiberali. E le posizioni illiberali dei populisti, per i quali la divisione dei poteri è un impaccio, sembrano confermare questi timori. Il rischio è tuttavia l’ennesima paralisi decisionale: un nuovo capitolo della saga del complesso del tiranno. Quella iniziata in sede costituente, dove tutti i profili del rapporto tra autonomia e responsabilità della magistratura e dei magistrati dell’accusa erano ben presenti. Da una parte c’era chi proponeva l’elezione diretta popolare dei giudici, per far valere il principio di responsabilità. Dall’altra chi proponeva di mantenere i PM all’interno dell’organizzazione gerarchica dell’esecutivo per far valere di fronte al parlamento la responsabilità del governo per l’azione dei PM. Ne venne fuori un compromesso: né sotto il governo né solo autogoverno, né sola responsabilità, né sola autonomia. Nasce il CSM attuato con grande ritardo 10 anni dopo, all’inizio fortemente ridimensionato rispetto a quanto diceva la Costituzione poi via via sempre più forte, specializzato, autonomo dal punto di vista organizzativo e contabile. Fino a rivendicare e quasi ad acquisire funzioni di indirizzo politico in materia di giustizia, epici gli scontri con Cossiga. Il CSM si libera dell’influenza del Ministro con la famosa sentenza della Corte costituzionale nel 1963 sul potere di iniziativa degli atti del CSM, si libera dell’influenza delle alte magistrature cioè della Cassazione con il cambiamento del sistema elettorale alla fine degli anni ’60. Troppa indipendenza e troppo poca responsabilità? Possono bastare a disporre di una sufficiente misura della seconda una solida responsabilità disciplinare e un solido sistema per la valutazione di conferma? Sono meccanismi in grado di controllare ad esempio le inevitabili scelte discrezionali dei PM nella conduzione dell’azione penale?
3. La posta in palio è oggi fatta di almeno quattro dossier, distinti ma tra loro strettamente intrecciati tanto che la risposta a uno non può essere strabica rispetto a quella agli altri due. Abbiamo visto come i costituenti avessero a loro modo tentato di evitare lo strabismo, camminando nel sentiero stretto tra chi allora proponeva l’elezione diretta dei giudici e chi la subordinazione dei procuratori al governo. Dagli anni ‘70 in poi l’equilibrio costituzionale ha cominciato però a scricchiolare a danno del sistema politico, complici fenomeni come il terrorismo della fine degli anni settanta, la criminalità organizzata negli anni ottanta e la tangentopoli negli anni novanta. La cancellazione dell’immunità parlamentare fece il resto.
3.1. Primo dossier: è ragionevole trattare giuridicamente l’iniziativa dell’azione penale per un furto con la stessa urgenza con cui si tratta l’iniziativa per un reato di criminalità organizzata? È ragionevole sostenere dunque che il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale elimini ogni margine per scelte discrezionali non controllabili? Anche Germania, Spagna e Portogallo hanno abbandonato questa posizione limitando lo spazio dell’obbligatorietà. Se non è ragionevole, come rendere accountable la scelta discrezionale delle procure nel definire l’ordine di priorità, rispettando autonomia e indipendenza previste dalla Costituzione? Un problema che interrogò a lungo un personaggio come Piero Calamandrei negli anni della costituente, spingendolo a immaginare tra le altre cose un Procuratore generale, scelto dal Presidente della Repubblica su proposta della Camera dei deputati, membro di diritto del CSM che prende parte anche al Consiglio dei ministri, legato da uno speciale rapporto fiduciario con le Camere.
3.2. Secondo dossier: se la Costituzione e l’ordinamento sovranazionale ci dicono che il processo si deve svolgere in condizioni di parità e davanti a un giudice terzo e imparziale, è ragionevole che magistrati dell’accusa e magistrati giudicanti intreccino le loro carriere, con qualche fragile wall of separation, possano influire direttamente o indirettamente gli uni sulla carriera degli altri, provengano, si formino e si coltivino professionalmente nello stesso mondo? Solo l’Italia in nome dell’autonomia e dell’indipendenza presenta questo assetto di assoluta indistinzione. E se non è ragionevole, come fare in modo che i magistrati giudicanti non possano essere soggetti a un’influenza di sistema da parte dei magistrati dell’accusa e viceversa? È utile forse ricordare come nel 2001 la Corte costituzionale, nell’ammettere il referendum promosso dal Partito radicale sulla separazione delle carriere, riconobbe la separazione (allo stesso modo dell’unicità) come né precluse né imposte dalla Costituzione.
3.3. Terzo dossier: se la magistratura come ci dice l’art.104 della Costituzione è un ordine autonomo e indipendente, è ragionevole sostenere che l’unità di questo ordine, cementata dall’attribuzione in forma indistinta a giudici e procuratori dell’elettorato attivo e passivo per scegliere i componenti togati del loro organo di autogoverno, non mini la terzietà del giudice? E se non è ragionevole, come introdurre una separazione in sede di autogoverno tra giudici e procuratori senza minare l’unità dell’ordine? Separazione ad esempio presente in Portogallo, in Spagna e in una certa misura in Francia. Cioè in tutti i sistemi a CSM. Quasi 25 anni fa la Commissione Balboni sulla riforma del sistema elettorale del CSM metteva in luce il fondamento costituzionale della distinzione tra magistratura giudicante e requirente, tra giudici e procuratori, almeno per alcuni aspetti del sistema di autogoverno. Insomma, da qualche parte occorre tracciare un confine tra i “due mondi” purché in forme costituzionalmente legittime.
3.4. Quarto dossier: autonomia e indipendenza sono strumentali al mantenimento dell’imparzialità. È ragionevole ritenere compatibile l’imparzialità con la possibilità di occupare posizioni di vertice nelle strutture ministeriali, spesso negli staff dei ministri e negli uffici di gabinetto, potendo poi ad incarico terminato ritornare al proprio lavoro di magistrato, magari in tribunali che giudicano della legittimità degli atti e delle decisioni degli organi di indirizzo politico per i quali si è svolto quel lavoro di staff? In una recente ricerca (Melis e altri) emerge che nel gruppo dei gabinettisti più gettonato i magistrati sono il 67% del totale dei gabinettisti. E se non è ragionevole, come introdurre gli opportuni meccanismi in grado di bloccare non solo le revolving door tra magistratura ma anche quelle altrettanto inquinanti tra magistratura e alta burocrazia ministeriale?
4. Non basta dunque il fischio di inizio. È indispensabile capire quali sono le squadre, chi gioca con chi, e come si pensa di vincere la partita, naturalmente per il bene della Costituzione italiana. Come scrive Nicolò Zanon, uno dei giudici costituzionali in carica, “chi abusa dell’autonomia rischia di perderla”. Allo stesso tempo chi abusa della legittimazione elettorale del proprio potere mina l’equilibrio tra i poteri. Anche in questo caso abbiamo un sentiero stretto tra conservatorismo e populismo. È necessario individuare il modo di percorrerlo. Non lo percorre l’annunciata riforma del ministro Bonafede. Dalle anticipazioni di stampa comprende – semplificando - una parte dedicata ai rapporti tra giudici e carriera politica (non può rientrare in magistratura chi ha ricoperto incarichi politici e in una certa misura anche chi si è candidato senza essere eletto è poi obbligato a cambiare distretto di lavoro nelle sue funzioni di magistrato) e una parte dedicata al governo dell’ordine giudiziario. CSM con componenti togati scelti con un mix di elezioni e sorteggio, incarichi semidirettivi tolti al CSM e affidati dagli uffici giudiziari apicali, futura ennesima riforma delle circoscrizioni giudiziarie. Come si vede veramente poco rispetto ai nostri quattro dossier. Senza contare la suprema inopportunità (e secondo qualcuno l’incostituzionalità) del ricorso al sorteggio anche se in seconda battuta rispetto alla prima fase elettiva. Come dice Fulco Lanchester, il sorteggio non supera le obiezioni che derivano dalla mancanza degli “effetti positivi forniti dal rapporto di rappresentanza e di responsabilità, generati dal procedimento elettivo e assenti nel sorteggio”. C’è ancora una lunga strada da fare. Occorrono ancora una volta fedeltà allo spirito della Costituzione e coraggio riformatore.
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