18 anni di Libertà Eguale- I cattolici democratici e lo spirito del riformismo

18 anni di Libertà Eguale/4 I cattolici democratici e lo spirito del riformismo
di Stefano Ceccanti   Pietro-Scoopola   L’originalità dell’esperienza di Libertà Eguale (e forse anche la ragione della sua durata, che è molto ampia nel quadro dell’associazionismo politico della cosiddetta seconda Repubblica) consiste nel fatto che in essa si sono ritrovate persone che venivano dalle diverse culture politiche riformiste della fase precedente, precorrendo la nascita del Pd. Ovviamente la tenuta dipende in prospettiva dal fatto che vi si riconoscano persone che per motivi generazionali non hanno conosciuto questi percorsi, ma tuttavia è importante ripercorrere questa storia perché non si costruisce mai dal nulla. In particolare, mentre ad altri è affidato il compito, in occasione della maggiore età di Libertà Eguale, di tracciare il percorso di chi viene dalla storia originale del postcomunismo italiano e del socialismo riformista, a me spetta di spiegare come sia arrivata a tale percorso una parte del cattolicesimo democratico.   Il cattolicesimo democratico tra De Gasperi e Dossetti Quest’ultimo è un fenomeno molto complesso. Solo per fare un riassunto dei fondamentali, la sua proiezione politica principale nella cosiddetta prima repubblica erano le correnti di sinistra della Democrazia Cristiana e la sua matrice, secondo la lezione di Pietro Scoppola, era la fusione tra la sensibilità istituzionale dei cattolici liberali (“cattolici col papa e liberali con lo Statuto”) che vaccinava dalle forzature integraliste e le aperture del cattolicesimo sociale alla condizione dei più poveri (superando invece la matrice classista del cattolicesimo liberale). Anche allora, però, dietro questa matrice comune conviveva con differenze profonde che, ad esempio, si manifestarono in modo paradigmatico a proposito della ricostruzione che Pietro Scoppola fece nella seconda metà degli anni ’70 della proposta politica di De Gasperi. La questione era esattamente quella di capire se questo tipo di cattolicesimo politico dovesse, anche e soprattutto nella nuova apertura a sinistra, valorizzare le opzioni degasperiane (opzione atlantica ed europea, visione positiva dell’economia di mercato e del suo dinamismo con fattori plurali, pubblici e privati) o se invece dovesse scolorirle riprendendo suggestioni neutraliste e stataliste più rinvenibili nella tradizione dossettiana.   Tra democrazia decidente e riforma dello Stato Nella transizione dal primo al secondo sistema dei partiti sono state due le occasioni che hanno portato a ridefinire i vari spezzoni del cattolicesimo democratico, anche sulla base di quella diversa lettura, e a determinarne esiti diversi nell’ambito del centrosinistra. Il primo è stato quello dei referendum elettorali con la messa in discussione del proporzionalismo e la ricerca di strumenti istituzionali efficaci in una fase storica diversa, che al di là delle opzioni tecniche trova un suo chiaro punto di affermazione nella Tesi 1 dell’Ulivo del 1996. Il secondo è il dibattito sullo Stato regolatore più che gestore diretto, in grado di ridiscutere gli strumenti tradizionali di lotta alle diseguaglianze che col primo Ulivo (in sintonia con la Terza Via) si afferma e sia pure a spizzichi segna alcuni importanti ambiti di policy: come il pacchetto Treu (prefigurato dalla Tesi 43) , la legge Berlinguer sulla parità scolastica (Tesi 66) e più in generale la propensione a evitare la facile dilatazione del debito su cui insisteva in particolare Nino Andreatta (Tesi 33). Su questa seconda questione, non casualmente, questo spezzone di cattolicesimo democratico, sin dal referendum sul costo del lavoro, aveva maturato anche una posizione niente affatto ostile al riformismo socialista, criticandone caso mai le incoerenza interne (come in occasione del referendum), ma rifuggendo dalle demonizzazioni frequenti nella propria area culturale di riferimento.   Diritto e forza nelle relazioni internazionali Le resistenze all’innovazione su ambedue le questioni chiave hanno attraversato tutte le culture politiche che stavano alla base del centrosinistra e spiegano bene come e perché esse si siano rimescolate dentro la nuova geografia interna del Pd. Qualcosa di analogo peraltro avveniva sul piano della politica internazionale, del rapporto tra diritto e forza nelle relazioni internazionali, della valorizzazione del diritto-dovere di ingerenza umanitaria e dell’obbligo di protezione: il pezzo di cattolicesimo democratico in questione, in sintonia con Scoppola e Andreatta, ha ritenuto legittimi e opportuni sia l’intervento nella prima guerra del golfo (1991) sia quello in Serbia-Kossovo (1998), a differenza dei filoni legati al pacifismo radicale. Anche qui è stata speculare la differenza rispetto alle posizioni interne nell’area ex-Pci-Pds.   Un percorso di apprendimento nel dialogo tra culture diverse In particolare mi sembra che l’opzione innovatrice sull’asse istituzioni decidenti-politica non invadente sia quella che abbia portato molti di noi che si sono impegnati nel movimento referendario e in quel primo Ulivo a contribuire al percorso di Libertà Eguale, ad una collocazione di centrosinistra liberale. Al tempo stesso si può ben capire l’itinerario che ha portato altri a ritenersi invece più vicini ai settori della sinistra che hanno creduto di dover riaffermare l’impegno per l’uguaglianza nella difesa degli strumenti tradizionali in cui esso si era declinato nella fase precedente. Ovviamente, nel percorso, nessuno di noi è soltanto quello che era all’inizio e il percorso di apprendimento ha portato a sintesi nuove per cui ci si sente fatalmente più vicini a coloro con cui si è maturato il percorso che non ad alcuni di coloro con cui si era iniziato nel sistema politico precedente. Questo ovviamente vale anche per coloro che si sono collocati nei settori più conservatori della sinistra. Si sono rivelate ancora più profetiche le parole di Aldo Moro nel 1977: “Quello che voi siete noi abbiamo contribuito a farvi essere e quello che noi siamo voi avete aiutato a farci essere”. Allora lo si diceva tra culture politiche che dialogavano a partire da contenitori politici diversi, oggi possiamo dirlo dentro esperienze comuni.

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