Un grande presbitero del Concilio, di Giorgio Tonini

Ho avuto il privilegio
dell’amicizia di don Frosini per quarant’anni. Ci siamo conosciuti quando,
ventenne, ero presidente nazionale della Fuci (la federazione degli
universitari cattolici) e lui, tra i suoi molteplici incarichi, era il nostro
assistente diocesano. Se l’albero si riconosce dai frutti, don Frosini, già
allora, era un albero rigoglioso, un grande educatore, un autentico padre
spirituale, circondato da giovani straordinari, per umanità, spiritualità,
preparazione culturale e professionale, sensibilità politica e sociale.
Don Frosini è stato anzitutto
una bella persona: un uomo libero, perché profondamente credente; un
intellettuale raffinato, teologo e filosofo, e al tempo stesso un uomo
semplice, che vestiva e viveva sobriamente, quasi poveramente; un uomo buono,
mite, dallo sguardo dolce, eppure capace della più penetrante e spietata ironia
toscana.
Don Frosini è stato uno dei
grandi preti italiani del post-Concilio, come tutti i migliori della sua
generazione obbedientissimo in Cristo e proprio per questo capace di vera
parresia, impegnato senza risparmio nell’attuazione del grande programma
conciliare di rinnovamento della Chiesa cattolica: nella sua diocesi di
Pistoia, con i numerosi incarichi pastorali che ha ricoperto e le numerose
iniziative culturali che ha promosso; nel più vasto ambito della Chiesa
italiana, che ha girato si può dire in lungo e in largo per partecipare come
relatore ad innumerevoli assemblee, sinodi, convegni ecclesiali; nella ricerca
e nel dibattito teologico, ai quali ha contribuito con tante pubblicazioni,
molte delle quali tradotte in diverse lingue. Mi è capitato più volte di
incrociare questa sua fitta ragnatela di impegni e contatti e ogni volta di
uscirne arricchito, di risposte e di domande nuove.
Ma don Frosini era anche un
uomo che amava la politica, alla quale si accostava non solo con lo sguardo
lungo del filosofo e teologo, ma anche con la curiosità e la tempestività del
giornalista. E soffriva nell’assistere alla decadenza e alle degenerazioni che
la politica ha conosciuto in questi nostri difficili anni. E si animava in una
pur cauta speranza, quando gli pareva di intravedere novità incoraggianti.
Quando, nel 2001, fui candidato
al collegio senatoriale di Pistoia, mi confidò due sue grandi preoccupazioni,
che a distanza di quasi vent’anni sono ancora di sorprendente attualità. La
prima aveva a che fare col berlusconismo, che lui considerava un pericoloso
veleno, sul piano culturale, molto prima che su quello politico. E soffriva in
modo particolarmente acuto quella che a lui pareva una insufficiente capacità
di resistenza, se non una strisciante subalternità, del mondo cattolico, a
questa forma di libertinismo illiberale. La seconda sua grande angustia aveva
invece a che fare con noi del centrosinistra, toscano e non solo, con quella
che lui già allora vedeva lucidamente come una tendenza alla degenerazione
castale, alla chiusura oligarchica, alla riduzione della lotta politica a
posizionamento personale. Ma questi suoi tormenti, che hanno costretto me e
credo molti altri a riflettere, non diventavano mai giudizio sommario e
moralistico, o peggio ancora fuga dalla responsabilità di capire il presente e
immaginare il futuro, per rifugiarsi in una vacua nostalgia di un passato
idealizzato.
Quando mi chiamava al telefono, col suo vocione e l’inconfondibile accento toscano, la prima parola era una domanda: “novità?” C’era tutto don Frosini in quella preoccupata speranza.
* pubblicato su "La Vita" settimanale cattolico toscano
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