semipresidenzialismo? sì, grazie

da l'unità di oggi di Stefano Ceccanti   Partiamo dal documento dei saggi sulle istituzioni. Esso è una buona base di partenza su molti aspetti, a cominciare dalla consapevolezza che il problema di fondo è costituzionale. Appendere il Governo ai risultati di due Camere diverse è una spada di Damocle che va rimossa. Il testo invece inciampa nel delineare l'alternativa tra forma parlamentare e semi-presidenziale.  Essa e' esposta a partire da una logica astratta. I criteri di coerenza col complessivo sistema costituzionale, contrasto alla personalizzazione ed elasticità sono giustissimi, ma non possono essere usati come degli a priori. La questione va affrontata in chiave induttiva a partire dalla situazione del sistema dei partiti e dalla evoluzione effettiva dei poteri costituzionali. O esistono prospettive dimostrabili e incentivabili per rafforzare tale sistema (che appare quasi liquefatto con molti micro-personalismi) e allora la forma parlamentare ha piu' senso o, al contrario, esse non esistono e allora bisogna puntare sulla prospettiva semi-presidenziale che parte dalle istituzioni. Le norme costituzionali non hanno la stessa forza in entrambi i casi: in quello della forma parlamentare ne hanno di meno perché è la coerenza del sistema dei partiti che la supporta; in quello della semi-presidenziale invece è la forza dell’elezione diretta e i poteri propri del Presidente che trainano il sistema perché si è consapevoli della sua debolezza. Cosa sarebbero i nostri Comuni e Regioni senza l’elezione diretta? A ciò si aggiunge nel testo dei saggi un'incoerenza interna: si dice che la soluzione parlamentare e' più forte perché consente a un Capo dello Stato che non e' capo dell'esecutivo di gestire le crisi, ma poi, nelle proposte, si riducono i poteri del Presidente sulla nomina del Governo e sullo scioglimento anticipato, rendendosi conto che se essi vengono usati costantemente in modo incisivo affermano un ruolo governante del Presidente. Proprio qui si colloca il nostro dibattito, dopo la necessaria  rottura della prassi della non rielezione. Nonostante l'intento di tenere distinta la scelta del nuovo Presidente dalla prefigurazione di una maggioranza, sulla scelta ha pesato la consapevolezza che la sua fisarmonIca nell'uso dei due poteri-chiave, nomina e scioglimento, sarebbe stata del tutto aperta da subito, non solo in seguito.  Per questo l’elezione è stata vissuta da molti cittadini e grandi elettori come se fosse stata diretta. Cio' spiega come lo scontro sia stato piu' intenso del solito, con partiti massimamente deboli da un lato e una Presidenza strategicamente mai cosi' centrale dall'altro. E' proprio a questo punto che, volere o volare, si pone il problema dei tempi e dei modi con cui modifiche di fatto debbano essere regolate dal diritto, analogamente a quanto accadde in Francia nel doppio passaggio tra 1958 e 1962. Prima venne l’interpretazione costituzionale dei poteri sbilanciata sul Presidente e solo dopo l’elezione diretta, per sanare lo scarto tra poteri e responsabilità. Tanto più perché questa scelta va a nozze col doppio turno di collegio, il modello da sempre preferito dal Pd, ma che, da solo, senza elezione diretta, vista la debolezza del sistema, oggi non ci darebbe la governabilità. La Terza e la Quinta Repubblica francese avevano il doppio turno di collegio in comune, ma la Terza, senza elezione diretta, aveva Governi di soli nove mesi, che scesero a sei con la forma parlamentare razionalizzata della Quarta. La situazione è tale che non ci possiamo permettere che le prossime elezioni non siano decisive. Il modello francese per intero ci mette su questa strada, l’alternativa parlamentare è ormai logorata.                              

Condividi Post

Commenti (0)