Ripenso ogni giorno a quei saluti mancati

"Ogni giorno ripenso a quei saluti mancati, ai giorni in cui avrei voluto stare accanto a mio padre e a mia madre, agli abbracci che loro si sarebbero voluti scambiare e che sono stati impossibili". La storia di Marco Vittorio Covassi e Matilde Pretto, raccontata dalla figlia Beatrice, riassume tutto il dramma di chi è morto in ospedale, da solo, durante la pandemia. E di chi è rimasto con il vuoto di quei saluti cancellati per legge. Ottantadue anni lui, 80 lei, due figli e una vita insieme, Marco Vittorio e Matilde avrebbero festeggiato a ottobre 55 anni di matrimonio. Invece se ne sono andati a cinque settimane di distanza, nella prima fase della pandemia, l’11 aprile e il 29 maggio. "Mia mamma aveva alcune patologie pregresse, mio padre invece, benché in buone condizioni, era caduto e doveva fare riabilitazione - racconta Beatrice -. Così, per una strana combinazione, si sono trovati entrambi al presidio Anna Torrigiani. Poteva sembrare una bella coincidenza per stare insieme. Invece, a causa della pandemia, neppure questo è stato possibile". Anche perché ben presto Marco Vittorio, entomologo in pensione, è risultato positivo al Covid ed è stato trasferito a Santa Maria Nuova. "Ho parlato con lui l’ultima volta il 3 aprile – prosegue la figlia – poi la situazione è precipitata e l’11 se n’è andato senza che lo potessi risentire. Non so descrivere l’angoscia con cui ho vissuto quella distanza forzata, il non poterlo rassicurare e accompagnare in un passaggio così importante. Ancora oggi continuo, come mio fratello, a fare sogni angoscianti su quei giorni. Il successivo contatto con lui è stata la consegna di una piccola urna con i resti. Quando l’ho stretta fra le mani ho pensato che fosse davvero troppo poco". Nelle settimane di lockdown erano vietati anche i funerali: così Marco Vittorio è stato sepolto con una semplice benedizione. "Pur comprendendo il momento - continua la figlia - ho vissuto il divieto come un’ingiustizia. Ho cercato però di guardare avanti e di concentrarmi su mia mamma. Insieme a mio fratello abbiamo fatto di tutto per riportarla a casa". Ma dopo alcuni giorni, Matilde, insegnante in pensione, è risultata a sua volta positiva. Così è scattato il ricovero a Careggi, dove è morta. "Avevo cercato di metabolizzare il primo lutto – conclude Beatrice – ma il secondo è stato troppo. Non solo se n’era andata un’altra figura cruciale della mia vita, ma era successo di nuovo senza un saluto. Ancora oggi ho la sensazione di dover ricevere una telefonata da mia mamma. Ci sentivamo continuamente. L’unica consolazione è stata il funerale. Oggi si comincia a parlare di fine vita Covid: mi sento di dire che occorre fare tutto il possibile per facilitare la comunicazione fra parenti stretti e malati. Ho chiesto spesso di parlare con mio padre a telefono, ma non era previsto nei protocolli benché lui, a differenza di mia madre, fosse in grado di comunicare. Questo deve cambiare. E quando la vita sta per finire bisogna permettere ad almeno un parente di essere presente. La morte è un passaggio cruciale: non si può costringere una persona ad affrontarla in solitudine. Né obbligare chi resta a convivere con il rimpianto per la propria assenza".

di Lisa Ciardi

da La Nazione Firenze, 29.11.2020

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