"Reaganismo cattolico"? No, obamismo puro spiegato tramite Fabbrini dalla rivista di D'Alema
Non è molto chiaro, se non per un divertissement polemico legittimo, perché sostenendo posizioni da "Terza Via" che hanno a che fare con Blair e Clinton e, in modi ancora diversi, con Obama (oltre che con la Centesimus Annus" e prima ancora con le posizioni di Murray e di Maritain del periodo americano, spiegate magistralmente ne "l'Uomo e Lo Stato" ) e con l'itinerario collettivo che ha portato alle Settimane Sociali, si debba essere per ciò definiti, come fa Massimo Faggioli su "Left Wing" "reaganisti cattolici" o addirittura aderenti a Comunione e Liberazione, cosa che avrebbe lasciato quanto mai allibito, per citare solo una persona notoriamente tanto anti-statalista quanto bonhoefferiana, Beniamino Andreatta. Sarebbe come accusare Olof Palme (o Massimo d'Antoni) di essere un pianificatore sovietico... Può darsi che questo derivi da fraintendimenti, da simpatiche punture di spillo dei precedenti interventi, e allora cerchiamo di rimuoverli evitando qualsiasi equivoco. La migliore risposta a Faggioli sta in un'ottima pubblicazione di "Italianieuropei", il volumetto di Sergio Fabbrini e Ray La Raja "I democratici americani nell'epoca di Barack Obama" di cui mi limito a riprodurre due brevi stralci e di cui dobbiamo rendere merito a Massimo d'Alema e Giuliano Amato che hanno scelto Fabbrini come massimo studioso italiano del sistema americano. Il primo è sul posizionamento ideologico complessivo dell'obamismo e il secondo è su ciò che noi intendiamo con poliarchia. "Con Obama il partito Democratico si è ricomposto, dunque, intorno a un liberalismo non ideologico..Sin dalle presidenze repubblicane di Ronald Reagan (1981-1988) i democratici erano stati costretti a condurre una battaglia di retroguardia per difendere i programmi sociali del New Deal..Con Obama, i democratici hanno abbandonato quella trincea. Infatti né l'attuale presidente né i democratici del Congresso hanno utilizzato la crisi finanziaria esplosa nel 2008 per alimentare una reazione populista contro i principi del libero mercato. Essi non solo hanno dimostrato un inaspettato autocontrollo, ma hanno risposto alla crisi con politiche motivate dalla loro capacità di superare la recessione e non già dalla loro coerenza con una visione filosofica sul ruolo del governo federale". ""Se è vero che il liberalismo non ideologico sostiene la centralità del mercato, è anche vero che esso ritiene che le soluzioni di mercato non siano sempre in grado di risolvere i problemi di una società i problemi di una società avanzata, in particolare le ineguaglianze e le vulnerabilità generate da un capitalismo robusto e dinamico. E, soprattutto riconosce che tra lo Stato e il mercato vi è una costellazione di individui , famiglie, gruppi e comunità che debbono assumersi personalmente la responsabilità di affrontare quei problemi sociali (come l'abbandono scolastico, la diffusione delle droghe, la violenza cittadina, il degrado dei luoghi di vita e di lavoro e così via) che né il mercato né lo Stato da soli potrebbero risolvere". Non credo siano ispirazioni valide solo per gli States...
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