Quella frase su Pella, da Europa di oggi
Quella frase su Pella Non è vero che la discussione alla Direzione del Pd sull’opzione di privilegiare un governo di decantazione rispetto ad una scorciatoia elettorale sia stato inutile. Anzitutto perché, dato che su quella opzione si è resa evidente una larga convergenza, le fibrillazioni nella maggioranza si sono ulteriormente estese. E poi perché l’idea di un governo di decantazione, o di tregua, è venuto pienamente e autorevolmente in campo ieri, con le parole di Giorgio Napolitano sull’esperienza «breve ma significativa» del governo Pella nel 1953. Una frase non casuale. Su questo torneremo più avanti. Ma anche il dibattito sulla posizione del Pd relativa alla lettera della Bce è stato importante e, in realtà, è legato indissolubilmente alla questione precedente: difficile immaginare un governo di decantazione con un programma in materia economica diverso da quella lettera, in cui sono riassunti nella sostanza gli impegni già presi a livello europeo e che vincolano tutti i possibili governi. Checché ne possa dire il Ministro Tremonti o altri con lui, nel caso italiano le elezioni anticipate non equivarrebbero affatto a quanto accaduto in Spagna in termini di rassicurazioni. Lì un governo con debole maggioranza relativa è destinato ad essere sostituito da un governo con probabile maggioranza assoluta; ha nel frattempo varato importanti riforme che coprono già buona parte dei punti concertati in sede europea e il paese ha dimostrato, in occasione della riforma sulla stabilità di bilancio, che i due partiti maggiori sono in grado di convergere rapidamente su obiettivi di lungo periodo. Da noi si tratterebbe di quattro mesi senza governo, con un probabile proseguimento di un clima di rissosità inconcludente e non necessariamente risolutivo né in termini di maggioranze numeriche né di garanzie di durata successiva. Tornando alle parole pronunciate ieri dal capo dello stato, egli ha parlato di una fase politica, nel lontano ’53, in cui era venuta meno la leadership aggregante di De Gasperi, e non era ancora pienamente maturata quella di Fanfani. Di fronte al primo vuoto di potere del sistema dei partiti l’iniziativa, secondo Costituzione e in particolar modo secondo l’articolo 92 che dà al capo dello stato il potere di nomina del presidente del consiglio, passò a Einaudi. Se fino ad allora di fronte a De Gasperi, al contempo leader del partito di maggioranza e presidente del consiglio, il capo dello stato aveva svolto un ruolo notarile, la crisi con la scelta di Pella, fatta autonomamente da Einaudi, come ha scritto Elia, «dimostrò, come in un mutato contesto, anche il ruolo del capo dello stato poteva assumere dimensioni diverse». è la metafora della fisarmonica: anche se il testo dell’articolo 92 resta intatto, la fisarmonica del potere presidenziale resta chiusa se il sistema dei partiti è in grado di suonare da solo. Se però si inceppa, la fisarmonica presidenziale si può aprire in tutta la sua ampiezza con la scelta di un presidente del Consiglio per un governo di decantazione. L’apertura della fisarmonica da sola sarebbe necessaria ma non autosufficiente giacché la nomina ha comunque bisogno di una potenziale maggioranza per la fiducia in parlamento. Ed anche per questo il dibattito svolto nella Direzione del Pd, almeno per quello che dipende da noi, è stato prezioso giacché non è vero, come qualcuno ha obiettato, che discutere di scenari futuribili non sarebbe utile in quanto questi dipenderebbero dal solo Quirinale. Senza una serie di disponibilità anche preventive la fisarmonica non si aprirebbe. In altri sistemi politici difficoltà analoghe vengono superate con “governi di tutti” con grandi coalizioni. Qui invece occorre un “governo di nessuno”, occorre un’iniziativa in cui tutte le principali forze politiche possano dare il sostegno a un “governo amico”,: proprio come la Dc ebbe a definire allora il governo Pella. è interesse di tutto il paese che la fisarmonica si apra prima possibile. Stefano Ceccanti
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