Non fraintendere la preghiera cristiana, di Giovanni Ferretti

Ho letto su Repubblica del 16 marzo l'articolo di Enzo Bianchi dal titolo "La Chiesa non può chiudere". In esso si critica la Chiesa italiana per aver adottato "contro il possibile contagio" le misure imposte dall'autorità politica che "impediscono liturgie, preghiere e funerali partecipati dalla comunità". E si arriva a dire che "senza eucaristia - partecipata fisicamente, come incontro di corpi - per i cristiani non è possibile vivere".

La critica mi è parsa eccessiva, fuori luogo, e non vorrei che inducesse in pericolosi fraintendimenti sul senso della preghiera cristiana e della liturgia, quasi che vi fosse una opposizione tra queste e le norme di prudenza per evitare di contagiare gli altri e di essere contagiati. Pregare e celebrare in forme comunitarie pubbliche, con evidente pericolo di contagio, non è pregare cristianamente ma tentare Dio e la sua Provvidenza; la tentazione che Gesù ha vinto nel deserto e che ci ha insegnato a vincere nella nostra vita.

Ben sappiamo - e papa Francesco più volte ce lo ha ricordato - che la Provvidenza di Dio non opera miracolisticamente ma attraverso l'azione degli uomini; di chi dà il pane agli affamati e  si prende cura  dei malati; come stanno facendo con dedizione tanti medici e infermieri e quanti lavorano perché l'economia non si fermi del tutto e venga a mancare il necessario per vivere.

Come Chiesa abbiamo tutti il compito di essere solidali con costoro e con le difficili decisioni delle autorità politiche; dando certamente l'apporto della preghiera possibile in questa situazione, anche in nuove forme comunitarie  non pericolose, unito a quello della carità operosa, che sa  trovare e inventare le forme migliori possibili per essere vicino a chi soffre e a chi si prodiga per loro.

Condividi Post

Commenti (0)