La partita europea
Sul salvataggio dell’Italia si gioca una partita che riguarda il futuro assetto delle istituzioni – almeno di quelle economiche – europee. Comunque, lo status quo, l’Unione così come l’abbiamo conosciuta finora, non potrà essere mantenuto. A questo punto mi sembrano sufficientemente delineate le principali opzioni sul tavolo: provo a elencarle per orientarci. La prima opzione è la soluzione nazionale. Ogni paese fa fronte ai suoi squilibri e paga i suoi conti, prevalentemente con le sue forze, assumendosi le sue responsabilità. Ogni intervento europeo, infatti, sarebbe una forzatura del quadro istituzionale esistente, e sarebbe indigesta ai tedeschi. Questa opzione ammette il possibile fallimento di un paese e anche la sua fuoriuscita dall’euro. Con la possibilità, a questo punto, che vada in frantumi l’euro stesso o che si passi a un euro ristretto al nucleo di paesi virtuosi. è una posizione prevalentemente preoccupata del “rischio morale” che deriverebbe da un salvataggio esterno dei paesi dissestati. Tra il bastone e la carota, preferisce intervenire (solo) col bastone. Ma mette a repentaglio l’unione monetaria. E ha anche uno sgradevole sapore moralistico. è la posizione verso cui guardano i più intransigenti nel dibattito tedesco. La seconda opzione è quella dell’unione fiscale. Il salvataggio è affidato a trasferimenti tra paesi, in previsione di un possibile futuro bilancio federale. Tra le molte diverse varianti interne a questa opzione ci sono il fondo salva-stati (Efsf) e gli eurobonds. Potrebbe essere la scelta della Merkel, a patto di condizionare gli aiuti fiscali alla sorveglianza tedesca (attraverso un’istituzione dedicata), con la Germania che vedrebbe sancita, anche in questo passaggio, una posizione dominante nel quadro istituzionale europeo. è anche la posizione che potrebbe incontrare il favore della BCE, che vedrebbe salvata la sua indipendenza e la sua attuale vocazione (monomaniacale?) al controllo dell’inflazione. La terza opzione è quella di una BCE interventista. Oltre alla stabilità dei prezzi, la BCE dovrebbe far proprio anche l’obiettivo della stabilità del sistema finanziario e accettare di svolgere il ruolo di prestatore di ultima istanza sporcandosi le mani anche acquistando titoli pubblici in dosi massicce. Quindi una BCE meno rigorista. Questa posizione ha il vantaggio di un sano pragmatismo, ma deve risolvere il problema del “rischio morale”, perché potrebbe ridurre la disciplina di mercato operata dai mercati finanziari (disciplina che, come visto, non necessariamente è efficace nel prevenire gli squilibri ma spesso scatta solo tardivamente) e potrebbe compromettere l’indipendenza politica della BCE. Certo, vanta illustri esempi tra le banche centrali degli altri paesi avanzati, come la Gran Bretagna, che stanno intervenendo in questo senso finora efficacemente. Insomma, la prima opzione salva i principi ma rischia di far saltare l’euro, la seconda prova a salvare l’euro ma impone una cessione di sovranità dei singoli paesi anche in campo fiscale, la terza implica un nuovo orientamento della BCE e quindi la rinuncia ai principi su cui è fondata l’attuale unione. La prima non ha molti seguaci. L’ultima pare quella meno accettabile dai tedeschi. La seconda sembra quella che si va facendo strada, in modi ancora embrionali, in queste ore sotto la regia del direttorio Merkel-Sarkozy.
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