La laicità del cardinale Scola tra diritto e morale

Nicola Colaianni da "L'Unità" del 10 dicembre 2012 Nel suo discorso ambrosiano il card. Scola ha posto questioni non facili, meritevoli di risposte non disinvolte. Lo ha fatto senza il lessico integralistico dei “valori non negoziabili” e del “relativismo”. Lo stesso modello francese di laicità lo ha criticato a fondo in nome non di una “sana” laicità ma del rispetto della natura plurale della società. Una buona base di dialogo, questa sulla critica di una laicità valore a se stante, ostile agli altri valori, al punto da apparire a sua volta (pensiamo alla legge che vieta di portare in pubblico il velo o altri segni religiosi) una “religione” escludente il Dio degli altri. Tuttavia, questa “idea dell’in-differenza” delle istituzioni statuali rispetto al fenomeno religioso non appartiene al principio supremo di laicità, da anni (dal 1989) elaborato dalla nostra Corte costituzionale. Esso, infatti, “implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralism confessionale e culturale”. Se guardiamo all’Italia, quindi, il discorso non è plausibile e si misura piuttosto con una categoria ideologica: quella di uno Stato come potere sovrano precostituito alla Costituzione, capace di “gestire la società civile” su momenti fondamentali dell’esperienza umana (la nascita, il matrimonio, la generazione, l’educazione, la morte). I mutamenti su tali questioni di vita e di morte, di famiglia e di educazione, nascono in realtà nella società civile e non da procedure decisionali tendenti ad “autogiustificarsi in maniera incondizionata”. Esse, invero, sono condizionate proprio dalla Costituzione, nella quale confluiscono e si intrecciano pluralisticamente le aspirazioni e gli interessi di tutti: credenti (ma anche noncredenti o diversamente credenti) compresi. Nella a-storica visione di uno stato senza costituzione, che caratterizza il discorso di Scola, non viene avvertito il fenomeno, per dirla con il compianto Roberto Ruffilli della “perdita del centro” nello stato costituzionale di diritto. Ne consegue una sopravvalutazione della politica: di nuovo centralistica, assolutistica, onnipotente: speculare, in fondo, a quella che domina la contrastata laicità alla francese. Non vi si trova quella tensione tra contemplazione e politica, che infatti al card. Martini sembrava avvolta in questo tempo da una fitta nebbia. Per esempio, si cita «il dovere e quindi il diritto di cercare la verità», di cui parla il Concilio, per affermare che lo Stato non deve porre a suo fondamento la scelta – pur legittima - “di quanti non soddisfano l’obbligo di cercare la verità per aderirvi”. Certamente, è così: ma neppure lo Stato può porre a fondamento la scelta di quanti soddisfano quell’obbligo (tale per I credenti). Il diritto di libertà religiosa si risolverebbe, altrimenti, nel dovere di ricerca della verità. Senonchè diritto e dovere appartengono a sistemi normativi diversi. Il primo è indubbiamente un diritto positivo, costituzionalmente riconosciuto, il secondo è un dovere non giuridico ma morale, esigibile (come, del resto, anche la Dignitatis humanae afferma nel passo citato) nell’ordine spirituale. Immedesimare quel diritto e quel dovere nell’ordine temporale significa confondere due sistemi normativi, il diritto e la morale, con la conseguenza o di retrocedere il diritto positivo a diritto morale o di innalzare l’obbligo morale ad obbligo giuridico. Il discorso del card. Scola ha il merito di contribuire autorevolmente alla formazione di un dibattito non scontato sulla laicità ma a partire da una visione in fondo pessimistica sul contrasto tra cultura secolarista e fenomeno religioso, che certamente non rende i tanti contatti provocati dal camminare insieme. Ne è prova proprio il costituzionalismo, come processo di positivizzazione delle esigenze di giustizia e di rispetto della dignità umana. Questo principio conciliare si trova già nella Costituzione italiana (e in altre, dalla Germania alla Spagna, oltre che nella giurisprudenza europea, a partire dalla sentenza Omega del 2004), dove attraversa tutti i diritti fondamentali: parametro della retribuzione del lavoratore e della sua famiglia, limite della pur libera iniziativa economica. A dimostrazione, per dirla appunto con la Dignitatis humanae, che “si fanno sempre più stretti i rapporti fra gli esseri umani di cultura e religione diverse”.

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