La Chiesa non muore. La religione si sta spostando? di Paola Giani


Della chiesa parliamo oggi partendo non dalla teologia ma dall’esperienza della vita e dalla riflessione personale. Sappiamo tutti che i tempi, i luoghi, le occasioni che abbiamo vissuto segnano fortemente la nostra esperienza di chiesa. Vengo dalla città più calvinista d’Italia, non da una città ricca di processioni e di segni della religiosità popolare. Da sempre interreligiosa con una bella comunità ebraica poco professante ma da cui proviene gran parte dell’intellighentia torinese. Una viva comunità valdese sempre molto esposta sulle questioni etiche e politiche. Una chiesa cattolica segnata dalla presenza dei preti operai, di un vescovo come Pellegrino, professore all’università, uomo vicino alla sensibilità operaia. Una chiesa che intorno a lui ha fatto nascere la pastorale del lavoro.

Lo scenario della chiesa si è presto polarizzato tra tradizionalisti spaventati e pieni di certezze e  la ventata del Concilio su cui in tanti volevamo ancora procedere.

La sensazione più forte che io vivevo in quegli anni era che le parrocchie avessero un senso come luogo di incontro, di condivisione e di appartenenza, di impegno, spazio di riflessione, comunicazione, studio della bibbia e che ognuno eleggesse a propria parrocchia non tanto quella di residenza quanto quella in cui il prete o i gruppi presenti erano coerenti con il proprio sogno di vita e di chiesa. Si andava generalmente in periferia, nei quartieri operai perché lì erano presenti preti aperti, disponibili a sperimentare una catechesi innovativa che coinvolgesse fortemente le famiglie, che formasse i catechisti, che fosse attenta al linguaggio per comunicare ai giovani il messaggio del vangelo, che mettesse in discussione una liturgia immobile, vetusta.

Nella chiesa ci sono sempre state persone evangeliche, capaci di vivere come il maestro ha mostrato e altre persone, sia tra i laici sia tra i preti, solo legate alla struttura, alla gerarchia, alle regole, alle certezze in ambito etico. Proprio quella religione contro cui Gesù si era battuto: un cristianesimo religione come le altre, quindi  fatta di strutture di potere, di regole, di principi esclusivi. Certo ci sono sempre state e continuano a essere presenti anche oggi esperienze di voci - penso a gruppi come Viandanti,  Chicco di senape, penso alla teologia al femminile, ad alcuni teologi (come Alberto Maggi, Paolo Squizzato, ma anche in ambito non cattolico, come John Spong) - che fanno respirare l’aria del vangelo e lo annunciano davvero in modo comprensibile, legato alla vita di ogni donna e uomo che cammina sulla terra.

Questa mia riflessione deve alcuni spunti a  Luigi Berzano, parroco nell’astigiano e docente di sociologia all’università di Torino e a  Josè Maria Castillo, già teologo alla università di Granada.

Oggi in Europa l'80 per cento della popolazione è nominalmente cristiana, ma meno del 10 per cento va regolarmente in chiesa e parla di Gesù come del proprio sogno. Il tramonto del cristianesimo per come avviene in Occidente si potrebbe spiegare così. Le chiese cristiane non hanno sempre saputo continuare a raccontare la loro storia fondativa in un modo che sapesse parlare alla loro epoca. Hanno perso l’arte che gli ebrei chiamavano midrash: l’arte di raccontare le storie per adattarle ai tempi. Il Gesù delle chiese è a volte una stanca dottrina che non affascina più. Parla di un Signore Dio onnipotente che sta nei cieli, della Trinità, della remissione dei peccati, della Santa Comunione, della resurrezione dalla morte e così via. Quasi nulla di tutto questo oggi fa presa sulla gente. Gesù non è più il seme che produce grandi frutti. Non è più il mythos dei cristiani, il loro sogno. Chi perde il contatto con il proprio mythos appassisce e muore. Solo la congiunzione tra la storia individuale e il suo corrispettivo nel sogno può ispirare la vita e salvarla dal breve tempo che vive quaggiù.

Che ne è di quel seme annunciato dal giovane rabbi della Galilea? Che ne è di lui come seme?

I giovani quando trovano un buon gruppo rimangono legati alla chiesa, se no il lavoro, lo sport, il consumo prevalgono sugli interessi spirituali. Si potrebbe dire, dall’esterno, che l'Occidente è un mondo post-cristiano che cerca risposte ai grandi interrogativi al di fuori delle mura delle chiese. I suoi nuovi altari sono modesti e oscuri: la casa, il lavoro, i consumi, lo sport, la natura.

È dunque il tempo di un ritorno agli inizi, quando le chiese non erano ancora state costruite, quando c'erano soltanto Gesù e la sua storia?

In realtà, Gesù è il cuore del sogno occidentale, vitale per questa civiltà e per i suoi individui. Nel Vangelo di Marco, il primo ad essere scritto, emerge un Gesù misterioso, enigmatico, esistenziale, che impara attraverso la sua amara esperienza a ripudiare templi e chiese. Non gli rimane nulla, se non la sua storia. E così invita coloro che hanno orecchie per udire a seguirlo, a mettersi nei suoi panni e a imparare dal suo tragico viaggio. Alla fine, ogni cosa che fa e dice si riduce a un singolo insegnamento: non serve altro se non la sua storia. Si potrebbe dire che perfino di lui, quale figura storica, i cristiani non hanno più bisogno: è la sua storia a darci l'insegnamento sull'essere. É lui il misterioso sconosciuto che si intromette nella nostra vita durante quella passeggiata pomeridiana: è lì per un momento e poi scompare, permeando ogni cosa della sua presenza.

Noi ci sentiamo oggi di dichiarare la nostra appartenenza alla chiesa? E cosa intendiamo quando ci dichiariamo così? Cosa vuol dire per noi realmente credere la chiesa una santa cattolica e apostolica?

Ha senso continuare una lotta all’interno della chiesa perché cadano le cose inutili, perchè si riveda la liturgia, si affrontino le eresie di cui la preghiera della chiesa è piena?

Si può vivere la fede senza luogo di incontro fisso in cui celebrare la parola e l’eucaristia?

Personalmente non sento più la chiesa come madre, sento di fare chiesa quando sto condividendo i valori della fede e della vita con altri. Quella è la mia chiesa di quel giorno. All’ indomani il gruppo può cambiare.

Cosa faceva Gesù? Cosa ci dice il Vangelo? 

Gesù non ha parlato di templi o conventi e non ha organizzato una religione come quella che abbiamo. Se il Vangelo ha ragione, ricordiamo ciò che Gesù disse a una donna samaritana: “Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre...viene l’ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Gv 4, 21-24). Gli esperti discutono il significato esatto di questo testo. Di sicuro Gesù afferma che l’adorazione di Dio non è associata a un luogo specifico. Che tu abbia un tempio o meno, la cosa veramente importante è la rettitudine, l’onestà, la bontà, la lotta contro la sofferenza e lo sforzo di umanizzare questo mondo e questa vita.

È questo ciò che stiamo vivendo?

È questo ciò che la gente applaude? È questa la nuova svolta che (a partire dal modo di essere e di vivere di papa Francesco) sta avendo la Chiesa? 

La cosa più logica è pensare che la religione non affondi. Si sta spostando. E mi sembra che stia lasciando il tempio. E stia recuperando il Vangelo. Non come credenza religiosa (questa la conoscevamo bene), ma come stile di vita. Uno stile di vivere da cui siamo molto lontani. E che è urgente recuperare il prima possibile.

Il teologo spagnolo José María Castillo scrive

La religione non sta scomparendo. Si sta spostando. Sta uscendo dai templi. Sta sfuggendo di mano ai preti. Si svincola dal “sacro”. E ogni giorno che passa, la vediamo e la avvertiamo in modo sempre più palpabile nel “profano”. Il centro della religione non sta più “nel tempio”, sta “nella vita”. E nella difesa, nella protezione della vita e nella capacità di darle dignità. Inoltre, la religiosità sta nel progetto di vita e nel modo di vivere che ognuno assume, fa’ suo e mette in pratica.

Da decenni si continua a dire che la religione è in crisi. E ora, con la pandemia del coronavirus, la crisi religiosa è diventata più evidente e sfacciata. Si abbandonano le cerimonie, i costumi e le pratiche religiose (messe, battesimi, matrimoni, processioni ...); si stanno lasciando vuoti i seminari e i conventi, ecc. ecc. Il fatto è evidente e non ammette discussioni. E non mi interessa neppure pensare in continuazione alle ragioni che possano spiegare perché questo collasso religioso si sta verificando.     

Gesù ha visto che lo spostamento della religione doveva essere più radicale. Per questo, quando Giovanni è venuto a sapere (mentre si trovava già nella prigione di Erode) delle “opere” che Gesù stava facendo, gli ha mandato due discepoli a chiedergli: “Sei tu quello che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” (Mt 11, 2-3; Lc 7,18). Il progetto del Vangelo di Gesù ha sconcertato persino Giovanni Battista.  La risposta di Gesù ai discepoli di Giovanni è la chiave: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano...” (Mt 11, 4-5 par). E si sa che di ciò che ha detto Gesù, l’aspetto più eloquente è la parte finale: “E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!” (Mt 11,6). 

Quando la preoccupazione centrale della religione non è il peccato, ma la salute di coloro che soffrono, ci sono persone che si scandalizzano. 

Cosa pensiamo di questa lettura che riguarda tanta predicazione della nostra chiesa?

La chiesa soffoca il messaggio di Gesù, che però è più forte, quindi in definitiva è la chiesa che è già morta.

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