La buona battaglia, di Luciano Iannaccone

Questa volta non ragioniamo dell’attualità politica ed economica, ma di una questione che ritengo decisiva: quella dell’annuncio e della testimonianza cristiana, oggi come ieri. Nel 1922 Karl Barth pubblicava il suo nuovo commento della Lettera ai Romani, contrapponendosi ancora più energicamente alla cosiddetta teologia liberale allora egemone nella cultura  e nella prassi delle chiese luterane ed evangeliche, e non solo. Essa, come esemplarmente espressa nell’ “Essenza del cristianesimo” di Adolf  von Harnack, sembrava vedere nel messaggio cristiano non l’evento di Cristo morto e risorto per la liberazione di ogni uomo, ma l’annuncio dell’amore e della fraternità umana attraverso simboli divini che muovono all’impegno etico. Ma la radicale alterità di Dio, nell’annuncio biblico e cristiano, all’uomo ed al suo mondo non è un’allegoria religiosa che parla in sostanza di noi, ma la assoluta irriducibilità di Dio alla sua creazione.

All’Europa impegnata a costruire il proprio progresso la teologia liberale consegnava un messaggio di speranza e di impegno, che si infranse sull’ “inutile strage” della grande guerra, patriotticamente sostenuta dal mondo culturale, compreso gran parte di quello teologico. Molti anni dopo Barth così rievocava quel tempo: “non c’era solo il pericolo che svanisse in una pia immagine quel Dio che invece si presenta come Altro rispetto all’uomo, che gli si drizza di fronte come Signore, Creatore, Redentore.. che l’uomo non può mettere da parte, né evitare, né cambiare. La presenza di Dio, infatti, è altresì quella di un partner libero dell’uomo in una storia messa in moto da lui stesso…c’era appunto il pericolo che insieme a quel Dio divino diventasse una pia immagine anche questa storia e questo dialogo tra Dio e uomo.” E rivendicava la propria battaglia di allora (feconda  per la fede cristiana nel XX secolo), riconoscendone il limite nella mancanza di una più esplicita centralità di Gesù Cristo, che è insieme il sovrano Signore ed il suo partner umano: l’abbassarsi del primo e l’innalzarsi del secondo per la forza travolgente dell’amore divino.

Cent’anni dopo sono l’idea e l’orgoglio del progresso ad essere in crisi, ma troppi, cristiani compresi, anziché riconoscere conquiste, limiti, problemi e pericoli con ragionevoli analisi e coraggiosi progetti, spesso si circondano “di una folla di maestri, facendosi solleticare le orecchie, e storneranno l’udito dalla verità per volgersi alle favole”( II Lettera a Timoteo, 4, 3-4). Due sono i miti moderni correnti, entrambi concentrati sul mondo umano, senza apertura alla sua origine ed al suo definitivo futuro. Ed entrambi parlano di colpa e di possibile salvezza.

Il primo è socio-economico, succeduto per contrasto alla globalizzazione senza regole: mani adunche di pochi tengono i beni di tutti, condannandoli alla penuria ed alla miseria. Che si tratti di plutocrati ossessionati dal denaro o del potere politico-militare complice, vogliono dominare gli uomini e il mondo. Il mito descrive la loro colpa e la redenzione che può venire solo dal popolo unito  che distrugga il loro potere, in una commistione di vetero-marxismo e di neo-populismo.

Il secondo si tinge di millenarismo in chiave ambientale ed ecologica ed  ha sostituito alla cura del creato ed alla sua necessaria difesa dal  degrado una certezza dogmatica ed indiscutibile, gestita dall’Intergovernmental Panel of Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite. Quella dell’inarrestabile, rapido e distruttivo riscaldamento della superficie terrestre per cause antropiche, in particolare per l’aumento delle immissioni in atmosfera dell’anidride carbonica.

Non è possibile entrare, anche per la mia impreparazione in materia, nello specifico. Basterà dire che è una “causa” che può mobilitare centinaia e migliaia di miliardi di dollari, come peraltro richiesto dai suoi propugnatori. E che, mentre è giornalmente ed incessantemente rilanciata da ogni fonte informativa, stende una cortina di silenzio su ogni voce scientifica diversa. Stupefacente quanto successo alla petizione sul riscaldamento globale antropico pubblicata lo scorso giugno da cento eminenti scienziati italiani, fra cui Franco Prodi, Renato Angelo Ricci ed Antonino Zichichi.

In essa fra l’altro si sosteneva che, mentre è urgente combattere l’inquinamento, “Bisogna però essere consapevoli che l’anidride carbonica di per sé non è un agente inquinante. Al contrario essa è indispensabile per la vita sul nostro pianeta.” Ebbene, per quando ne sappia, questa notizia è passata sotto silenzio, salvo poche lodevoli eccezioni: si fossero questi scienziati accodati al coro, la loro petizione sarebbe stata tra le prime notizie dei vari Tg.

Assolutizzare il fattore umano ( comunque da governare) nei mutamenti climatici terrestri, che hanno invece nella variabile irradiazione solare la probabilissima causa primaria e permanente, non pare ragionevole, anche se indispensabile alla  “causa”. Ed i cristiani conoscono nella fede che Dio, pur tollerando provvisoriamente il caos ed il male dell’uomo, sostiene la sua creazione fino al suo trapassare per grazia in cieli nuovi e nuove terre, in cui abiterà la giustizia.

Posso sbagliarmi, ma anche qui siamo in pieno mito con la rinnovata sacralizzazione della madre terra, la colpa dell’uomo e della sua inarrestabile forza distruttiva, una redenzione che può venire solo dalla massiccia concentrazione di investimenti economici e risorse finanziarie. Siamo più  prossimi a Creso che a Gea, ma questo passa il convento.

Il mito del popolo che vince una finanza inumana che condanna alla miseria e quello del salvare   con una “cura” indiscutibile ed intoccabile la terra quasi irrimediabilmente in pericolo  possono suscitare energie ed entusiasmi, anche se in gran parte fallaci. Ma l’orizzonte comune ad entrambi ha una valenza antropologica e personale assolutamente ristretta, a differenza della salvezza promessa dai miti antichi. Ed una consistenza  assai discutibile, anche volendo star leggeri.

A fronte di tutto ciò, l’annuncio e la promessa cristiana che fine hanno fatto ? Come cento e più anni fa, nella Mitteleuropa e non solo, si limitano a spingerci all’adesione ed al sostegno degli “idola loci”: ieri il progresso, oggi i nuovi miti ?

Non può essere così. Certo la fede cristiana si esprime anche in operoso e critico sostegno ad una società più giusta, ad un ambiente che “narri la gloria di Dio” che l’ha creato ed in cui sussiste. Senza settarismi, senza perfezionismi, ma con il realismo e  la giustizia attuabile nel nostro mondo e nella nostra condizione  imperfetta e provvisoria.

Ma la gloria del Dio che si è fatto uomo in Gesù di Nazareth, morto per i nostri peccati e risorto per la nostra liberazione, i cristiani devono narrarla assieme ai cieli ed alla terra. Devono annunciarla con gioia. Perché essa è il fondamento della realtà creata, il suo senso e la sua meta. Devono riconoscerla nello spezzare del Pane, con il ringraziamento, con il servizio al prossimo e nella comunione fraterna: “In una parola, ciò che è l’anima nel corpo, i cristiani lo sono nel mondo…così decisivo è il ruolo che Dio ha loro assegnato che non è consentito disertarlo” (A Diogneto). La comunità cristiana, per essere al servizio di ogni uomo, deve esistere come fraternità concreta.  Oggi è così ?

“Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho mantenuto la fede” (II Timoteo, 4,6): Paolo indica il cammino: la buona battaglia, primariamente contro la propria inerzia ed incredulità. Possibilmente con un sorriso, che è innanzitutto un grazie a chi insperatamente ha deciso di amare ognuno di noi.  

 

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