I politici cattolici e le perplessità di Mario Chiavario

Uscito sul settimanale diocesano di Torino, "Il Nostro tempo" Sono molti, penso, i lettori de "Il nostro tempo" che si riconoscono in quella figura di "cattolico perplesso" -«a disagio nell'offerta politica attuale, cangiante e spesso deludente»- cui si rivolge Stefano Ceccanti, in un recente, omonimo libro. L'Autore, oltre che costituzionalista di vaglia, è senatore del PD, instancabile nello svolgere un ruolo di oppositore attento e competente eppur immune dalla tentazione di un antiberlusconismo purchessia cui non di rado si riducono le reazioni alla crescente degenerazione istituzionale da basso impero prodotta dal "ghe pensi mi". Cresciuto nel solco della migliore tradizione cattolico-democratica e della "cultura della mediazione", è, d'altronde, naturalmente lontano dai "corti circuiti" fondamentalistici e dalle tentazioni di moderne riedizioni del vecchio sogno di alleanza fra trono ed altare. Al tempo stesso, mostra però di sapere bene che il sentirsi cristiani non può non avere incidenza anche sulle scelte di natura politica. «Motivazioni forti e cornice istituzionale della laicità sono compatibili»: in quest'assunto si può vedere sintetizzato il suo pensiero al riguardo, peraltro non irrigidito in una massima astratta ma vivificato dalle testimonianze di esperienze maturate sin dagli anni giovanili (quando fu, tra l'altro, presidente della Fuci) e soprattutto da insegnamenti ricevuti da significative figure del mondo cattolico: in particolare da "due coppie di sacerdoti e laici" (Oscar Romero e Vittorio Bachelet, Papa Montini e Alcide De Gasperi), "la cui influenza trasversale è diffusa in tutto il volume" e alle quali questo è dedicato. Ceccanti è del resto consapevole che di fronte alle nuove sfide che si presentano per il continuo mutare del panorama culturale e sociale, a livello nazionale internazionale, il riferirsi ai grandi del passato non basta da solo a risolvere i problemi (per conto mio mi permetto un solo esempio … provocatore: chi può dire con sicurezza che cosa penserebbe De Gasperi sui "Dico"?). Di qui il coraggio di affrontare in uno spirito di apertura al dialogo e in un serrato confronto di strade percorribili anche i temi più scottanti: "coppie di fatto", appunto; ma anche limiti all'intervento pubblico in economia, testamento biologico …. Il che è quanto basta, a mio giudizio, a far apprezzare il libro, quali che siano i giudizi che ciascuno di noi può dare sulle soluzioni proposte a proposito dei singoli argomenti in discussione. Solo in parte condivido, peraltro, quelle che lo stesso Autore definisce come "conclusioni … paradossalmente provvisorie" della sua riflessione. Così, mentre concordo sulla necessità che all'interno dei singoli partiti si smetta di coltivare "nostalgie identitarie" riducendo la fede cattolica ad attributo di una corrente, non posso dire la stessa cosa a proposito del ruolo del bipolarismo nel complessivo panorama politico-istituzionale. O meglio, farei qualche distinzione. Apprezzo infatti che Ceccanti pensi a un "bipolarismo … meno radicale" dell'odierno e soprattutto che egli ritenga opportuno evitare "che il bipolarismo politico si trasformi in bipolarismo etico come accaduto in Spagna in questi anni, sia evitando di far coincidere il diritto sempre e comunque con le leggi del Parlamento sia realizzando una "centralità qualitativa" del Parlamento fatta di maggiore capacità di ascolto reciproco". Ma c'è da chiedersi se quest'aspettativa sia realistica qualora il retroterra culturale e i meccanismi elettorali si orientino in modo da perseguire soprattutto l'obiettivo della formazione di due forti schieramenti contrapposti, chiamati dovunque e comunque a competere per conquistare, anche con un solo voto di maggioranza, un collegio parlamentare e poi, con una semplice maggioranza relativa (dunque, rappresentando una semplice minoranza) dell'intero corpo elettorale, un'ampia maggioranza nelle due Camere. Non ho nostalgie per gli assetti politico-istituzionali della Prima Repubblica, e non insisto neppur più di tanto sui fallimenti che il presente bipolarismo "all'italiana" (anche coi correttivi del "Mattarellum") ha fin qui prodotto senza neppur garantire efficienza e stabilità di governo, sino al disastro attuale, con parlamentari nominati dai capipartito e in larga parte divisi tra yesmen a qualunque costo e spregiudicati trasformisti . Rimango comunque dell'idea che anche nella prospettiva di un'uscita dall'attuale palude sarebbe opportuno tenere ben distinto il problema della governabilità da quello dei contrappesi a un eventuale strapotere governativo: sul primo versante si può anche accettare che lo scrupolo di una fedele rappresentanza del Paese ceda a quello dell'efficienza (perciò, arrivo ad ammettere che vi sia una Camera eletta con un sistema uninominale più o meno "corretto", e che con essa il Governo debba essere in rapporto di necessaria fiducia); diventa però, allora, tanto più indispensabile che una rigorosa rappresentatività caratterizzi un'altra Camera, così da far spazio, non soltanto alle istanze regionali (il "Senato delle regioni"), ma anche a componenti politiche che non si riconoscano in alcuno dei due "poli": e tale Camera dovrebbe avere un ruolo determinante sia nella formazione delle leggi di maggiore rilevanza sia nelle elezioni degli organi di garanzia (Capo dello Stato, giudici costituzionali, membri laici del C.S.M.). Quanto al retroterra culturale, non mi convince del tutto la condanna del "voto di coscienza", su quelli che si sogliono chiamare "temi eticamente sensibili", che Ceccanti stesso sembra far discendere dalla sua opzione fondamentale per il bipolarismo . Pure qui vorrei distinguere. In certi casi, è vero, il rifugio nel "voto di coscienza" può essere stato e può essere mera opzione rinunciataria. Ma esso rimane uno scudo proprio contro la trasformazione del bipolarismo politico in bipolarismo etico. E mi preoccupa la propensione, manifestata da autorevoli esponenti cattolici del PD, secondo i quali, anche sui temi "eticamente sensibili", si dovrebbe sempre cercare anzitutto la sintesi all'interno del proprio schieramento, per presentarsi poi, comunque vincolati da questa sintesi, al confronto con gli "altri". La prospettiva mi preoccupa, non per la paura del "meticciato politico" o per un calcolo meramente tattico di fronte al rischio di ulteriori smottamenti del "voto cattolico" più o meno legati all'intensificarsi di fulmini ecclesiastici. No; è che su questi temi ritengo che ogni cittadino, e in particolare ogni politico "adulto" –cattolico o no- debba essere sempre spinto a cercare un confronto, senza pregiudiziali chiusure nell'orticello delle proprie appartenenze, dialogando a tutto campo, anzitutto con la propria coscienza e poi con qualunque altro interlocutore, vicino o no a lui nell'arco degli schieramenti. Questo, proprio per portare alle conseguenze più coerenti e più fattive la leale accettazione di ciò che comporta il "pluralismo", quale giustamente Ceccanti stesso indica come alternativa, difficile ma necessaria, alla stretta cui vorrebbero condurci, da un lato, i cedimenti a un "relativismo" morale senza freni, dall'altro le imposizioni di un "assolutismo" altrettanto pernicioso, se dalla "non negoziabilità" dei valori vuole dedurre anche tutta una serie di percorsi obbligati sui modi per viverli e farli vivere.

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