Gianfranco Brunelli- editoriale del regno di Bologna sulle primarie

Il PD vive giorni felici. La prova delle primarie imposta da Renzi, ma – occorre dirlo – accettata e salvaguardata da Bersani, di fronte all’intero gruppo dirigente del partito che non la voleva, ha ridato una qualche legittimazione al partito e recuperato alla partecipazione una quota di elettori di centro-sinistra. Tre milioni di partecipanti non sono molti in sé, ma moltissimi se si pensa da dove si ripartiva. Ma è l’esito del primo turno che ha reso verosimili e utili le primarie del PD, anche in mancanza di una legge elettorale coerente al modello delle primarie. Il combinato disposto tra la mancata vittoria di Bersani (45%) al primo turno e il risultato di Renzi (36%) mette capo a un confronto effettivo e nuovo dentro il PD e nel centro-sinistra. Alle primarie del 25 novembre si sono scontrate due visioni della politica, del centro-sinistra e del PD. Il segretario Bersani rappresenta l’ultimo tentativo di rinnovamento nella conservazione di una nomenclatura (composta da ex PCI e da ex Popolari) e di una forma partito (sostanzialmente erede del PCI) che ha perduto la sfida della riforma del paese dopo il 1989. Egli ha una visione socialdemocratica della politica e un approccio pragmatico da un punto di vista amministrativo. è un leader credibile: ha una personalità autentica. Le primarie e lo scontro con Renzi lo hanno rafforzato rispetto al gruppo dirigente e a D’Alema in particolare. Anzi, le resistenze scomposte alle primarie hanno di per sé contribuito a mettere fuorigioco una parte del vecchio gruppo dirigente (da Veltroni alla Bindi). Tuttavia, la sua vittoria condiziona non poco la definizione politica e la figura della coalizione di centro-sinistra. L’appoggio inevitabile di Vendola e la necessità di tenere unito il sindacato di riferimento (la CGIL) lo costringono nella vecchia figura politica del «progressismo». La sua vittoria ne rafforza la leadership, ma ne segna e ne determina politicamente la linea. Ed è una linea di ieri: andare uniti alle elezioni come fronte progressista e allearsi dopo con il centro di Casini. Molto dipenderà dalla legge elettorale. Al PD sarebbe convenuto il ritorno alla legge Mattarella, non avendo voluto affrontare per tempo una riforma seria sul modello semipresidenzialista piuttosto che un «porcellum» qualsiasi, questo o un altro che sia. Ma come è accaduto per le primarie, il gruppo dirigente del PD ha sempre puntato sulla conservazione del partito in quanto partito, aggregando gli alleati di turno, e non è stato in grado di inserire il proprio legittimo interesse in quello del paese. Il sindaco Renzi è una figura nuova. è di formazione cattolica, ma non è riconducibile a nessuna delle due storie: né a quella comunista, né a quella democristiana. è il prodotto politico dell’elezione diretta dei sindaci. Di qui gli deriva la forza non velleitaria di sfidare nella nomenclatura del partito la forma stessa del partito e provare a superarla dall’interno. I risultati conseguiti nelle cosiddette zone rosse confermano che egli ha misurato una necessità reale e oggi condivisa dallo stesso elettorato di centro-sinistra. è di una generazione più giovane, ed è mosso da un vitalismo nuovo. Quanto sia in grado di indicare una linea politica all’altezza dei problemi del paese rimane ancora un’incognita. Non è detto che lo sia. Ma ha percorso con forza la strada che ha intrapreso, ha avuto coraggio e determinazione, mostrando doti di leadership. Un leader nascente, contemporaneo, non calante. Rimane aperto l’interrogativo sul disegno complessivo, che sembra ispirato più al modello democratico americano che a quello socialdemocratico tedesco. Non sappiamo se e come verrà impostata e risolta la crisi aperta da Renzi nel PD. Sappiamo del rischio che alle prossime politiche il confronto – complice la legge elettorale – sia tra il vecchio e il vuoto.

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