Emma Fattorini a Civiltà Cattolica
In primo luogo vorrei ringraziarvi di questo invito. E non in modo formale.
Sono onorata per l’opportunità di festeggiare questo traguardo e sono anche grata umanamente, sul piano personale, perchè in questo percorso così significativo si sono intrecciate negli ultimi decenni anche vicende esistenziali, umane, di vita e di amicizia.Come dirò in seguito.
La mia generazione si era formata su interpretazioni che spesso indulgevano a vecchi stereotipi fondati su categorie come il cosi detto gesuitismo, quale sinonimo di opportunismo, e furbizia in quanto oscillerebbe tra l’intransigentismo più ferreo all’adattamento più corrivo ai tempi.
Una sorta di furbizia che aveva esempi illustri e altri caricaturali. Come ricorda l’espressione “nipotini di Padre Bresciani” che ricorre molto frequentemente nei Quaderni dal carcere per indicare quei cattolici per i quali “la sincera religiosità è sopraffatta dalla disciplina di partito “ (G Martina, “Storia della Compagnia di Gesù in Italia”, Morcelliana p.30) . Per i quali scrive Gramsci “Il sentimento religioso schietto è stato disseccato. Perciò…la letteratura cattolica …ma non può più avere un san Francesco…può essere milizia, propaganda, agitazione non più ingenua espressione di fede…” (Quaderno III, p.2208).
Il pensiero di Croce e di Gramsci sui gesuiti ha condizionato il pensiero laico di intere generazioni.
Penso ai Quaderno N.20 o N. 5, elle note intitolate “Cattolici integrali, gesuiti, modernisti” che, al di là delle vulgate, contribuivano comunque a restituire una dignità, e un’articolazione non banale o sommaria del ruolo dei gesuiti nei conflitti ma anche nelle intersezioni e partecipazioni alla costruzione dello stato unitario.
Si coglie lì un’arricchimento di quella categoria dell’intrangentismo, una sorta di iniziale estraneità allo Stato che non va letta solo come mera contrapposizione negativa, ma anche come deposito e risorsa, che alimenterà spinte positive proprio a partire dai punti critici di una costruzione liberale dello Stato e della politica. Insomma non solo
contrapposizione e rifiuto ma anche individuazione e consapevolezza dei
limiti insiti in una separatezza dello Stato dalle anime più profonde della
Società civile e dei suoi bisogni.
Una diffidenza da cui sorse poi una matura e convinta lealtà allo Stato nazionale.
Su questo delicato passaggio del
pensiero cattolico pensiamo alle note gramsciane sulla figura di Lamennais, che passa dal più netto intransigentismo a quella conciliazione della cultura cattolica con il pensiero liberale.
La “Civiltà cattolica” fu una fonte decisiva, fondamentale per la stesura dei Quaderni dal carcere, potremmo dire che tanta parte di essi non sarebbe neanche esistita senza di essa.
La rivista del resto rappresenta, nella maniera più significativa quell’ambivalenza, quel percorso di avvicinamento della cultura cattolica alla modernità che vide i gesuiti, ma non solo, nel ruolo di protagonisti. E che vide la “Civilta’ cattolica” fedele, accurata, metonimica testimone.
A partire dalla vicenda del suo primo direttore quel Curci che da antiliberale e sostenitore del potere temporale della chiesa dopo Porta Pia riconosce in pieno l’autorità dello Stato italiano fino a combattere le correnti ultramontane presenti in gran forza nella Compagnia di Gesù al punto da subire l’espulsione e la sospensione a divinis nel 1884. La rivista, del resto, aveva espresso ostilità verso le personalità più innovative, come Tommaseo o Rosmini, clamoroso fu il silenzio sulla morte di Alessandro Manzoni nel 1873. Un rifiuto simile ci sarà per la figura di Maritain o di don Milani.
Certo la “Civiltà cattolica” diede ben conto di quella vera e propria forma di “persecuzione”, cui fu sottoposta anche la Compagnia di Gesù in seguito alle leggi eversive del 1866, ma se volessimo concludere con un giudizio sintetico ,più che di ambivalenza , la “Civilta’ cattolica” sui fronti più spinosi, fu spesso in ritardo nell’acquisire un senso riconciliato con la modernità. Ne da conto tutta la produzione insuperata degli studi di Pietro Scoppola sul modernismo, di Giovanni Miccoli sull’intransigentismo e di Gabriele De Rosa sulla religiosità popolare,
Su un’altra questione cruciale, quella della questione ebraica, la “Civiltà cattolica” sarà la cartina di tornasole del sentire del tempo.
Penso alle accuse di antisemitismo mosse alla rivista a partire dagli articoli di Enrico De Rosa secondo le quali la rivista avrebbe assecondato nel 1890 la confisca dei beni e l’espulsione degli ebrei dall’Italia.
Il giudizio di Padre Giacomo Martina sull’antisemitismo della rivista è molto netto al punto, egli scrive, “ da accusare gli ebrei dei secoli passati di omicidi di bambini durantela Settimana Santa ( il noto omicidio rituale), accettando –prosegue- come oro colato i racconti già allora visti con sospetto da molti, ritenendo seri e sicuri autori screditati “. La rivista si lanciò nell’affare Dreyfus e non condanno l’antisemitismo del partito sociale cristiano del sindaco di Vienna Lueger.
E prosegue sulle leggi razziale italiane che scrive” furono accolte dai gesuiti italiani in silenzio, senza proteste, anzi con un pizzico di simpatia da parte della Compagnia… “ notando delle differenze con la “Civiltà cattolica” che “ si barcamenò, ma non le condannò”.
Giudizi duri, posizioni che esprimevano un sentire comune del tempo, eppure fuproprio dai gesuiti e dai redattori della “Civiltà cattolica” che vennero importanti aperture e significativi riconoscimenti. Sarà infatti a un gesuita, l’americano La Farge che Pio XI chiederà di redigere la famosa enciclica contro l’antisemitismo, quella che non vedrà mai la luce, molto probabilmente, però, per l’ostilità del potentissimo Generale della Compagnia padre Ledochowski. E soprattutto sarà affidata da Paolo VI a quattro gesuiti la selezione di un’ampissima scelta di documenti dell’archivio segreto volti a fare chiarezza sulla accesissima polemica circa i silenzi della chiesa di Pio XII sullo sterminio degli ebrei. I famosi 11 volumi, Actes et documents du Saint Siege relatifs à la seconde guerre mondiale, una fonte documentaria fondamentale, non solo perché, è stata, di fatto l’unica fonte, a causa della chiusura degli archivi sul pontificato di Pio XII, ma anche perché molto esaustiva, e soprattutto non faziosamente volta a occultare chissà quali segreti, come la polemica storiografica più faziosa ha invece sostenuto a lungo. Non credo, come tanti altri storici, che si annidino sorprendenti novità storiografiche circa la condotta di Pio XII e degli episcopati nei confronti i nel fascismo e del nazismo. Anche se la chiusura dell’Archivio Segreto, a mio avviso, resta un vulnus, il residuo di paure ormai obsolete verso una ricerca storica libera, una sorta di subalternità e debolezza che alimenta ancora di più sospetti e fantasie di segretezze inconfessabili: ormai le questioni fondamentali sono venute alla luce, ma restano tanti dettagli e sfumature che renderebbero la ricerca storica più ricca e completa.
Ricordo una lunga intervista che feci qui nella sede della “Civiltà cattolica” parecchi anni fa all’unico sopravvissuto Padre Graham su tutta la questione. Fu molto interessante e non la pubblicai mai, magari ora potrei darla agli storici della rivista…
Dicevamo degli Actes et documents, e però come fonti preziose vorrei anche ricordare che la rivista pubblicò, all’inizio degli anni ’60, documentazioni interessantissime, tutte inedite, commentate da Angelo Martini e dallo stesso Graham su tanti temi tra i quali periodo nazista e sulla prima guerra mondiale.
L’attenzione agli archivi è sempre stata una costante della rivista che li custodisce come bene prezioso e posso dire che pur non essendovi libero accesso ( almeno ai miei tempi era così) c’è stata una sensibilità verso i ricercatori e una grande disponibilità di accesso per diversi dottorandi.
Per tornare alla rivista, la sua evoluzione verso una forma sempre più convinta di condivisione delle inquietudine della coscienza moderna avrà il loro punto di caduta con il Concilio vaticano II e con la stagione di Padre Arrupe. Penso a figure come Padre Tucci e come Padre Sorge, e al suo impegno civile e politico.
E ora abbiamo Papa Bergoglio. Che ha invitato, nell’udienza del 14 giugno 2013, i gesuiti della rivista al “dialogo, discernimento e frontiera” e che ha ripetuto negli auguri alla rivista di potere continuare ad essere “ponte, frontiera e discernimento”.
Il discernimento è il criterio, per individuare quale dialogo e il discernimento e’anche la condizione per praticare le frontiere, intese come pratica di vita, condizione esistenziale. Non intellettualista e astratta “senza addomesticare le frontiere e portarle a sé, dice il papa, ma imparando a stare lì sulla frontiera”, e’ questa la condizione: lo stare lì, è di per sé una frontiera.
Il discernimento è la chiave di tutto, lo sappiamo. Parlare di discernimento in questa sede ignaziana, davanti ai padri gesuiti è sfrontato, da parte di una donna laica poi…
anche se soprattutto per noi donne, credenti, laiche e impegnate nel mondo, il discernimento … è il nostro vero compagno di vita…
Perchè capire e decifrare i segni dei tempi, (e cioè trovare cosa c’è di buono nell’altro da noi, anche nel nemico , che sia oggettivamente buono come praticò papa Giovanni) è la grande sfida storica del discernimento necessario per non cadere nel relativismo, nel soggettivismo.
Ma ora la sfida del discernimento, anche riguardo all’azione nella sfera pubblica, si è fatta più sottile, più difficile, più esigente, perchè non riguarda solo la grande storia, l’histoire evenementielle, ma ritorna nella sua sfera più profonda, quella personale e intima, quella delle scelte soggettive e dei sentimenti, delle relazioni affettive, agite nel mondo .
Questa è la grande sfida lanciata da Papa Bergoglio agli uomini e alle donne dei nostri giorni con il suo Amoris laetitia, che è un elogio ininterrotto del discernimento (e che si è concretizzato con il Sinodo sulla famiglia).
“Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli,si legge in Amoris laetitia che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle. “ AL 37
Qui non si tratta di cedimenti allo spirito dei tempi, al lassismo morale, dei costumi, ma di partire, come ha scritto Bergoglio, dalla “domanda della realtà”.
Del resto la “flessibilità”, è caratteristica degli Esercizi di sant’Ignazio come ci ricorda anche Diego Fares , nel suo articolo “Aiuti nella capacità di discernere”, nel numero che qui festeggiamo, la flessibilità ignaziana era molto cara anche a quel Pio XI che la raccomandava per “l’ammirevole adattamento ad ogni ceto e condizione di persone e…per condurre l’uomo dalla liberazione dalla colpa alle più alte vette dell’orazione e dell’amor do Dio”.
Stiamo parlando di Pio XI, non certo un relativista. Non uno zuzzerellone.
Ma non mi voglio dilungare oltre per non protrarre la sfrontatezza oltre ogni limite.
Voglio solo aggiungere che il discernimento dei segni dei tempi nella storia e nella politica si deve misurare anche con la difficoltà di decifrare gli effetti sulla sfera pubblica delle scelte più intime, quelle dei sentimenti e delle relazioni affettive, della coppia e della famiglia, dell’inizio e della fine della vita.
Sono i temi spinosi, tanto attuali della biopolitica e della bioetica sui quali oggi si devono pronunciare le scelte politiche e legislative, oltre che ovviamente pastorali. E a volte il laico impegnato, il legislatore è solo, perchè nella stagione precedente le indicazioni ecclesiastiche erano troppo prescrittive e ora perché, al contrario, sono affidate, per me giustamente, alla coscienza del singolo.
E quindi ci si sente soli: e quindi lo Spirito Santo ha tantissimo da fare.
Se come è vero la tentazione identitaria è corrosiva,“necrosi del cristianesimo”, il cristiano impegnato nella vita pubblica deve davvero accompagnarsi a un sano e profondo discernimento.
E allora ecco la funzione terapeutica della “Civilta’ cattolica” metonimica della bergogliana “chiesa,ospedale da campo”.
Ecco la funzione dell’amicizia, di cui tanti scrittori della rivista sono davvero maestri.
Sono tanti i nomi di scrittori della rivista con cui negli anni ho, insieme ad altri , stretto legami di amicizia,fatta di condivisione, itinerari di ricerca, scelte esistenziali . Con discrezione e solidarietà.
I nomi sono tanti e ne dimenticherò sicuramente qualcuno,
Padre Salvini è stato un padre vero in momenti difficili della vita politica, e della chiesa,
Giacomo Martina un maestro della ricerca storica, libera e rigorosa, fondata su un uso intelligente perchè, insieme straordinariamente creativo e scrupolosissimo nell’uso degli archivi e delle fonti, come si vede bene nella sua importante Storia della Compagnia di Gesù in Italia
e poi pensiamo alle generazioni successive,
al Padre Spadaro, degno erede di una tale, importante, storia e nel momento della straordinaria stagione del pontificato di Bergoglio al quale lo lega una grande amicizia.
Ricordo poi il lavoro storico di padre Giovanni Sale, un carissimo amico, prolifico e generoso nel condividere nella sua versatile produzione una grande ricchezza di materiali di archivio, miniere per i nostri giovani ricercatori.
O sul fronte dell’analisi politica pensiamo a Francesco Occhetta, alla sua capacità di tenere insieme freschezza e profondità, nel seguire i meandri di una politica sempre più indecifrabile e lontana e che lui riesce invece a comunicare anche ai giovani, tra l’altro, con una grande dimestichezza nell’uso dei social.
Pezzi di vita, amicizie importanti, che ci hanno aiutato e continuano ad accompagnarci e a farci sentire meno soli. Tutti.
Per tutto questo
Grazie
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