Dal Riformista di oggi: una replica a Massimo D'Antoni
Il maggioritario fa bene al Paese e pure alla sinistra di Stefano Ceccanti L'intervento di Massimo D'Antoni sul Riformista di ieri ("Dai il maggioritario a un indeciso di centro e vedrai che vota a destra") è stimolante, ma non convincente sul piano dei giudizi di fatto perché si basa su generalizzazioni politologiche ed economiche che tendono al determinismo. In primo luogo, c'è un deficit di definizione e di classificazione: la vera distinzione non è tra sistemi proporzionali e maggioritari, ma tra sistemi selettivi (cioè orientati alla formazione di una maggioranza di governo in sede elettorale) e non selettivi (che hanno come obiettivo quello di rispecchiare le opzioni degli elettori). Ad esempio, il sistema spagnolo è proporzionale, ma è costruito per fare in modo che le prime due forze nazionali vengano fortemente sovrarappresentate, portando la prima intorno a una maggioranza assoluta in seggi col 40% dei voti, con livelli di disrappresentatività simili al sistema inglese. In secondo luogo, non c'entra il modello di capitalismo, ma la dimensione di scala dei Paesi, come chiarito tra gli altri da Elia e Duverger: difficile immaginare capitalismi più diversi di quelli francese (dirigista) e inglese (liberale), ma la formula elettorale è ugualmente selettiva, mentre i piccoli Paesi hanno sistemi più speculari perché minore è la complessità. In altri termini non possiamo cadere nella trappola del pregiudizio sociologico-economico. La questione ha un suo specifico spessore istituzionale che corrisponde ai diversi livelli di differenziazione sociale. Non a caso i due Paesi che hanno affrontato una transizione da sistemi non selettivi a selettivi sono stati Francia e Italia, cioè grandi Paesi europei. Fa eccezione la Germania dove il carattere selettivo stava soprattutto nel divieto di partiti antisistema ed infatti quel sistema è entrato relativamente in crisi, col rischio di Grandi coalizioni ripetute, dopo l'Unificazione e la stabilizzazione della Pds (per Grotz e Bolgherini che scrivono nel volume appena uscito da Il Mulino su "La Germania di Angela Merkel", "costruire maggioranze di governo affidabili in assenza di una riforma elettorale rimarrà nei prossimi anni una grande sfida per la Germania"). Secondo una serie di studi divulgati da Andreatta nei primi anni '90, le performances economiche delle grandi democrazie differivano in modo sensibile laddove vi era la possibilità di giungere a un mandato di legislatura per i Governi oppure no, cosa evidentemente più agevole con regole elettorali selettive. In terzo luogo, metterei l'accento su quale criterio, quale soluzione nel sistema dato sia più adatta a risolvere i problemi del Paese e non su quello partigiano, quale fa vincere più la sinistra. Il fatto che in alcuni sistemi governi più la destra o la sinistra non è ascrivibile in modo deterministico a una formula elettorale. In fondo il primo governo di sinistra è stato in Inghilterra negli anni '20 e l'adozione di formule proporzionali fu spesso dovuto alla scelta dei partiti liberali che temevano di essere soppiantati col suffragio universale dai partiti della classe operaia che accedeva al suffragio universale proprio come accaduto in Inghilterra. Se il centro-destra svedese avesse creduto che con la proporzionale non avrebbe mai vinto, come era accaduto per molti anni, non avrebbe lavorato per vincere, come poi è successo. Per non parlare poi di Tony Blair - qualche pagina della sua biografia è esemplare - che parla della sindrome di sconfittismo che attraversava il Labour, convinto di dover proporre la proporzionale perché si riteneva incapace di vincere, mentre invece ciò dipendeva solo dalla sua incapacità di aggiornamento. Peraltro, se la sinistra vince in un sistema politico impotente, che cosa se ne fa della sua vittoria? Infine capovolgo il ragionamento: al di là delle possibilità di successo, non vi è dubbio che ciò che distingue la sinistra dalla destra sia affidare maggiormente alla politica dei compiti di ampliamento delle opportunità, anche se ciò non significa affatto sposare un modello dirigistico, di espansione delle istituzioni pubbliche. Se così è, credo che la sinistra più che la destra dovrebbe essere attenta alla capacità decisionale dei Governi. Una cosa però D'Antoni ha a suo modo il merito di ricordarci sul piano dei giudizi di valore: i sistemi selettivi funzionano meglio laddove non c'è una colonizzazione della società da parte delle istituzioni pubbliche, che rende più difficile l'alternanza, cioè funzionano meglio laddove c'è più poliarchia. Ma allora non si tratta affatto di rinunciare ai sistemi selettivi, ma al contrario di favorire anche un maggiore tasso di poliarchia. Non si tratta di limitarsi alla transizione verso una democrazia decidente, ma di completarla anche con una dose di maggiore liberalismo. Per questo, paradossalmente, la provocazione di D'Antoni ci aiuta a radicalizzare la proposta di chiusura della transizione, non a scolorirla, esattamente come sostenuto dal documento della 46^ Settimana sociale dei cattolici.
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