Ancora sul Referendum costituzionale - L. Lochi

Ancora sul Referendum costituzionale Luigi Lochi Questo intervento intendere chiudere, per quanto mi riguarda, le riflessioni intorno alla Riforma costituzionale e al suo Referendum. Spinto a ciò unicamente per tentare di ripristinare qualche frammento di verità in mezzo alle tante sciocchezze che si sono ascoltate e lette. Appartengo ad una generazione che negli anni novanta del secolo passato, a partire dalla stagione del referendum per la eliminazione delle preferenze, si è molto impegnata perché si avviassero processi volti a restituire lo scettro al cittadino anche attraverso la necessaria rivisitazione delle regole fondamentali che presiedono alla nostra democrazia. Sono sempre stato consapevole che la qualità della democrazia non è solo una questione di efficienza del sistema politico. Certamente le Istituzioni con le loro regole  non sono tutto, tuttavia, non v’è alcun dubbio che possono fungere da decisivi freni e acceleratori di processi politici. C’è anche una questione di efficacia della politica che, al contrario, può essere garantita solo dalla qualità dell’offerta politica e della sua classe dirigente, variabili importantissime che purtroppo nessuna regola potrà mai garantire: esse, infatti, sono espressioni esclusive del capitale sociale e direi anche spirituale di una determinata comunità in una determinata fase storica. Provo allora a richiamare alcune tracce di un discorso che meriterebbe altri approfondimenti. 1. La schiacciante vittoria del no trova la sua migliore spiegazione nella condizione sociale fotografata dagli ultimi dati ISTAT: il rischio di povertà coinvolge il 28,7% della popolazione, quasi il 50% al sud. Ed è stato il sud a guidare, soprattutto con i suoi giovani, “la rivolta democratica”: il grido di proporzioni enormi di un popolo fin qui silenzioso, che ha voluto esprimere parole semplici ma al tempo stesso gravi come inquietudine, disagio, incertezza, precarietà. Il grido di una vita non vissuta perché ogni giorno stancamente trascinata in un tunnel dal quale non si vede un barlume di luce. La Riforma della Costituzione in tutto questo, c’entra ben poco. Sbaglia  chi interpreta questo grido come opposizione al cambiamento, all’aggiornamento e al completamento, per dirla con Ruffilli, della Costituzione. I suoi principi fondamentali, per il rispetto dei quali si è levato forte quel grido, possono tradursi in scelte politiche concrete se i processi decisionali sono più trasparenti, meno farraginosi, più rapidi e soprattutto imputabili in maniera chiara a precise responsabilità. 2. La crisi dell’attuale sistema istituzionale è frutto di un lontano compromesso ispirato da diffidenze e timori (in particolare il timore che potesse prevalere l’egemonia comunista o quella democristiana). La seconda parte della Costituzione riguardante la organizzazione dello Stato è il risultato di quel compromesso. Non può considerarsi un totem da venerare a prescindere. Questo “patriottismo costituzionale” è la negazione esasperata della capacità stessa della Carta di evolversi secondo i “segni dei tempi” grazie ad una rinnovata “intelligenza degli avvenimenti” fuori da ogni ideologismo e bigottismo. La previsione stessa, nell’articolo 138, della possibilità di una sua rivisitazione, ne è la prova. A tal proposito sarebbe illuminante ritornare ai commenti che i padri costituenti fecero del testo del 1948. Togliatti parla “della pesantezza e lentezza nella elaborazione legislativa”. “Nella seconda parte – osservava – la Dc e le forze conservatrici sono riuscite a introdurre una serie di misura con l’esclusivo intento di porre ostacoli e barriere ad una Assemblea di rappresentanti del popolo la quale volesse veramente e speditamente marciare sulla via di un profondo cambiamento del paese, applicando nei fatti le premesse della prima parte”. Lo stesso Dossetti ribadiva come “certe scelte costituzionali, soprattutto della seconda parte della Costituzione, che anche oggi … hanno gravato sulla paralisi del nostro Stato, sono dovute al pensiero che si dovesse assolutamente evitare tutto quello che poteva facilitare l’accesso al potere di un partito che aveva intenzioni totalitarie e dittatoriali. Di qui una voluta intenzionalità nel delineare certe strutture non perché funzionassero ma perché fossero deboli…, il governo innanzitutto; quindi la doppia Camera, con pari dignità ed efficacia, quindi un congegno legislativo che…non poteva esprimere un’efficienza qualsiasi”. Si farebbe un grave torto allo spirito della Costituzione se davvero si coltivasse un patriottismo bigotto. 3. Si sostiene che non è bene che i governi inseriscano nei loro programmi il tema della riforma della Costituzione. Un po’ di memoria storica non sarebbe male. In primo luogo per ricordare che quando il Governo Renzi si presentò alle Camere per chiedere la fiducia, nessuno gli contestò di aver presentato il suo programma di governo ponendo al primo posto le “riforme costituzionali, istituzionali ed elettorali, sulle quali si è registrato un accordo che va oltre la maggioranza che sostiene questo Governo, e per il quale noi non possiamo che dire che gli accordi li rispetteremo nei tempi e nelle modalità prestabilite”. Come tutti ricorderanno, era stato lo stesso Presidente Napolitano a indicare al nuovo Governo l’esigenza “di adottare in tempi brevi le riforme strutturali per le istituzioni e per l’economia e il lavoro”. In secondo luogo per sottolineare che la Riforma sottoposta a referendum non è il testo del disegno di legge presentato dal governo. E’ la Riforma redatta dal Parlamento dopo due anni di discussione e sempre con maggioranze non inferiori al 57% delle Assemblee. 4. Il mantra del Parlamento delegittimato in quanto eletto con una legge dichiarata poi in parte non costituzionale è l’ennesima sciocchezza. “La sentenza di incostituzionalità – ha osservato Valerio Onida Presidente emerito della Corte nonché una dei più autorevoli sostenitori del No – produrrebbe effetti solo in vista del nuovo voto. Non tutto quello che è avvenuto sulla base della legge elettorale vecchia cade. Altrimenti il parlamento attuale sarebbe delegittimato e non potrebbe più far nulla. Neanche la riforma elettorale. Il parlamento continua ad operare, ma deve modificare la legge elettorale, perché la prossima volta non possiamo andare a votare con un sistema elettorale che la corte ha dichiarato incostituzionale”. 5. Le altre sciocchezze, la vera riduzione dei costi conseguente alla trasformazione del Senato, la riduzione delle garanzie, lo spacchettamento dei quesiti e il rischio di deriva plebiscitaria, la sottrazione della autonomia dei territori, etc etc….vogliamo davvero guardare il dito anzicchè la luna? La cosiddetta democrazia decidente è semplicemente, ma purtroppo in Italia straordinariamente pietra di inciampo, quella forma di relazione tra il cittadino e l’Istituzione improntata alla sovranità effettiva del primo a cui corrisponde la responsabilità della seconda. Un minuto di religioso raccoglimento e poi, per piacere, si dismettano gli abiti del massimalismo masochista che allontanano con il futuro anche la speranza che le cose finalmente possano cambiare in meglio. pubblicato il 14 dicembre 2016 in liberainformazione    

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