Ancora su cattolici e populismo

C’era molta attesa per l’annunciato articolo di Civiltà cattolica sul populismo. In Italia anche e soprattutto dopo gli scivoloni di “Avvenire” che in aprile si era esibito in un endorsment per Grillo e il Movimento cinque stelle, giungendo a certificare una convergenza sui temi di politica sociale con l’insegnamento sociale della Chiesa. Operazione un po’ spericolata che qualcuno aveva poi saggiamente ridimensionato. Puntualmente l’articolo di Francesco Occhetta sul numero 4008 della rivista passa in rassegna diversi aspetti di un tema complesso, per i quali non manca la necessità di ridefinire non solo le analisi dei fatti ma le stesse categorie concettuali. Ecco dunque che Occhetta si preoccupa di collocare in un quadro preciso l’accostamento tra Papa Francesco e il populismo, in ragione del peculiare uso che nella cultura politica argentina si è fatto e si fa del termine, con implicazioni non irrilevanti sull’insegnamento sociale delle Chiese dell’America Latina. E di fare una precisa scelta di campo sul piano della politica europea, con evidenti riflessi su quella italiana e sul populismo nostrano. La strada da percorrere non è quella del riflusso sovranista auspicato dai populismi. Al contrario è l’accrescimento delle capacità di governo delle istituzioni dell’Unione in un quadro di rafforzamento dell’equilibrio tra poteri degli stati membri e poteri dell’Unione che stato non è e non deve tentare di diventare. Questa prospettiva entra in rotta di collisione con tutti i populismi, con buona pace di “Avvenire” e dei suoi avventurosi tentativi. Dentro questi chiari confini Occhetta inserisce tuttavia una serie di oscillazioni. Difficile infatti questionare con esiti interrogativi sulla natura antidemocratica dei moderni populismi, almeno fin tanto che restiamo agganciati alla democrazia poliarchica dei moderni, quella che si sviluppa lungo l’asse Schumpeter, Dahl, Sartori, passando per Giovanni Paolo II e il n.46 della Centesimus Annus e giungendo alla democrazia del pubblico a leadership personalizzata che non è affatto – come sembrano sostenere gli autori citati da Occhetta - lo sbocco del populismo quanto uno dei sui avversari. La natura intrinsecamente antipluralista del populismo insomma, lucidamente descritta da Occhetta come il primo dei pilastri dottrinali populisti, apre e chiude immediatamente il discorso sulla loro compatibilità democratica. Difficile poi disgiungere le diagnosi sociali dei populisti (corrette) dalle terapie (sbagliate) perché tra le prime e le secondo non c’è soluzione di continuità. Lo schema manicheo del populismo giudiziario, ad esempio, è allo stesso tempo presupposto delle diagnosi e delle terapie. La diagnosi populista della globalizzazione economica fa a pugni con la prudenza dell’insegnamento sociale della Chiesa per il quale il modello è una “società del lavoro libero, dell’impresa e della partecipazione” possibile proprio in un contesto di globalizzazione e di libero mercato, come in Centesimus Annus n.34, con tutti i rimedi regolatori del caso. E Papa Francesco sottolinea il dramma dell’indifferenza e dell’imperialismo metodologico della tecnica come limiti della globalizzazione, non certo il suo aprire le porte alla moltiplicazione e alla distribuzione della ricchezza che significa uscita dalla soglia della povertà e maggiori opportunità per tanti. Il corredo di letteratura storica, politologica e filosofica inserito da Occhetta nell’articolo appare come la maggiore fonte di interrogativi. Urbinati, Diamanti, Revelli lo stesso Muller, introdotto da Nadia Urbinati, sono non autori tra gli altri ma espressioni di strutturate opzioni teoriche non prive di punti irrisolti. Come si fa ad esempio ad associare democrazia populista e democrazia del pubblico quando il libro di Manin che definisce i contorni di quest’ultima è dedicato alla democrazia rappresentativa? Così si rischia di sovrapporre populismo a personalizzazione della leadership, giungendo a sottoscrivere una visione come quella di Diamanti per cui l’Italia è un caso anomalo di democrazia del pubblico, nel quale si corre il rischio dell’uomo solo al comando, una specie di “democrazia del pubblico all’italiana”. Sappiamo quanto questo schema abbia indebolito la capacità di autoriforma delle deboli istituzioni di governo del paese, deboli di una debolezza che lo stesso Occhetta individua come causa non ultima dell’espansione populista. Senonché Occhetta da spazio anche al Revelli per il quale populismo è un genere le cui specie sono renzismo, berlusconismo e grillismo. Non è una questione di gusti è una questione di stiramenti concettuali che rispondono a disegni ideologici. In questo caso di nuovo la critica al populismo incorpora quella all’elitismo democratico dei moderni che con il primo non ha nulla a che fare. Al contrario di Revelli, per il quale ogni democrazia del pubblico è populismo, per Urbinati il populismo è una variante delle dottrine della sovranita popolare, cosicché il gioco della riabilitazione della sovranità è presto fatto, in barba all’erosione della sovranità con cui sanamente globalizzazione dell’economia, del diritto e del potere ci costringono a fare i conti. In fondo per Revelli e Urbinati, in forme diverse e opposte, il populismo è un modo per sbarazzarsi della democrazia dei moderni e della globalizzazione. Tutt’altro dall’impianto teorico di Occhetta. E per finire qualche dubbio anche sull’accostamento tra la costitutiva inclusività della democrazia dei moderni e l’élite populista di Beppe Grillo e soci. In verità a dover essere inclusi sono gli elettori e non le élite che minacciano, con le punte più estreme delle loro condotte, il sistema democratico stesso. Come si potrebbe negare in questo caso la legittimità di un rifiuto del dialogo con forze che appaiono in tutto e per tutto come forze anti sistema? Alludere a questo proposito al ruolo e alla posizione del PCI negli anni cinquanta e sessanta non sembra avere un solido fondamento storico e comparativo. L’articolo di Occhetta rimette in carreggiata il confronto tra cattolicesimo politico e populismo, soprattutto pensando all’Italia. Occhetta stende un cordone sanitario attorno all’insegnamento di Papa Francesco e definisce una volta per tutte una cornice europea di tipo “unionista”: due operazioni che mettono fuori gioco ogni maldestro tentativo di mettere insieme Grillo e mondo cattolico. Su tutto il resto conviene continuare a discutere.
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