Laicità tra legalità e moralità
Laicità tra legalità e moralità Forlì, 13 novembre - incontro organizzato dalla Fuci Un primo punto da affermare è che le democrazie contemporanee non partono da zero, non sono appiattite sulla sola legalità, cioè sulla legge votata a maggioranza a prescindere da qualsiasi vincolo contenutistico. La moralità, ovvero l’ancoraggio a dei princìpi di diritto (diritto che non coincide con la legge) è condensata nel primato della Costituzione, dei suoi princìpi e valori, che sono radicati in una base materiale viva nella società e nel ruolo della giustizia costituzionale nonché nell’apertura sovranazionale (nel nostro caso in particolare alle Corti di Strasburgo e Lussemburgo). Come scrive J. C. Murray moralità significa "moral standards commonly accepted among the people”. Un secondo punto è quello dell’atteggiamento di laicità da assumere, un atteggiamento che si distingue da varie forme di confessionalismo religioso o secolare (la moralità pubblica dovrebbe coincidere con quella della mia area religiosa o culturale) così come da varie forme di separazione ostile (la moralità pubblica dovrebbe prescindere del tutto da convinzioni diffuse nella società e poggiare solo su fondamenti procedurali). Qui basti ricordare come modello l’intervento di Alcide De Gasperi alla Settimana sociale dei cattolici del 1945, quando di fronte ad autorevoli prelati che invitavano con tono perentorio il leader democristiano ad imporre l'inserimento nella Carta fondamentale della nuova Repubblica quelli che a loro parevano principi di diritto naturale, come il carattere "gerarchico" del rapporto uomo-donna nel matrimonio, il grande statista trentino ironizzava sulla "atmosfera ossigenata" che si respirava in quelle sedi di "alta montagna" e la paragonava all'assai più opaco sforzo "di fissare una pratica di convivenza civile che tiene conto delle opinioni altrui e che deve cercare una via di mezzo fra quelle che possono essere le aspirazioni di principio e le possibilità di azione". La regola dovrebbe quindi essere quella della ricerca di punti di equilibrio, bandendo le tentazioni di egemonia unilaterale che, anche se vincenti sul breve, s prestano ad essere capovolte in seguito) ed evitando di presentare come normali quelle che possono essere vie di testimonianza individuale in casi limite, come le forme di disobbedienza civile. In tali ultimi casi, che si possono far valere con contenuti opposti (ad es. i nostri sindaci che vogliono trascrivere matrimoni omosessuali all’estero o sindaci francesi che si rifiutano di celebrare matrimoni omosessuali) si decide deliberatamente di violare la legge per provocarne un cambiamento, ma pagando evidentemente il prezzo delle sanzioni stabilite dall’ordinamento. Diverso il caso in cui, in nome dell’incoercibilità della coscienza, si chieda alla legge di regolamentare casi di obiezione di coscienza su cui la legge può essere particolarmente aperta nel caso di persone singole e dove deve operare un bilanciamento laddove si tratti di persone con funzioni pubbliche in modo da non ledere la coscienza del singolo garantendo però al contempo il funzionamento del servizio. La laicità di impronta degasperiana è insomma “a vocazione maggioritaria”, si divarica da quella retorica dei principi non negoziabili per la quale o imprimi una tua egemonia nell’ordinamento o ti voti a una testimonianza minoritaria senza modalità intermedie. Un terzo punto è individuare quale equilibrio complessivo si sia realizzato nella Costituzione e si sia poi sviluppato con la crescita di consenso nel Paese ai suoi princìpi e valori. Prendendo appunto il termine “laicità” come uno dei princìpi riassuntivi di questo equilibrio e non come un aspetto a sé stante. L’equilibrio tra legalità e moralità individuato dalla Costituzione, che ci serve per affrontare in modo equilibrato i vari possibili conflitti, comprende: -la grande tradizione liberale dello Stato limitato, che non è monopolista del bene comune e che afferma l’immunità dalla coercizione della persona, a partire dalla libertà religiosa; l’autodeterminazione del singolo trova in quella dell’altro il suo limite e così pure nell’azione delle istituzioni, le quali ultime hanno però fini limitati e parziali e sono tra loro bilanciate; -la tradizione socialista, depurata dalle velleità delle religioni secolari, che mette in rilievo come l’affermazione formale dei diritti può essere poi negata dalle diseguaglianze economico-sociali; -l’apporto del cattolicesimo democratico teso all’incontro tra libertà e verità che si realizza nella coscienza n primo luogo personale ma anche poi sociale e collettiva. Il quarto punto potrebbe consistere nell’applicare questa consapevolezza ai punti di maggiore conflitto emersi in questi anni: -sulla questione delle coppie di persone omosessuali la Corte, di fronte alle incapacità del legislatore, ha indicato un punto di equilibrio tra la specificità dell’art. 29 sul matrimonio (che riserva alle coppi eterosessuali) e il riconoscimento alle formazioni sociali in cui si sviluppa la personalità (individuando una forma più forte di tutela tramite la cosiddetta unione civile per le persone omosessuali e una più debole, con la finalità di preservare i diritti del partner più debole, per le coppie che non accedano al matrimonio e all’unione civile); -sulle questioni su cui sembra esserci un conflitto più forte tra l’autodeterminazione del singolo e alcuni princìpi e valori (dall’aborto alle zone di confine incerte tra accanimento terapeutico e forme di eutanasia) bisogna distinguere tra due tipi di norme, quelle che rimuovendo sanzioni penali consentono o comunque tollerano alcune scelte e quelle promozionali che cercano di prospettare alle persone le scelte ritenute migliori. Entro certi limiti, insomma, le norme penali possono essere “pro choice”, ma quelle di legislazione sociale possono essere “pro life”, possono orientare la scelta secondo criteri di priorità socialmente riconosciuti; -sull’uso legittimo della forza, pur nei grandi elementi di novità delle odierne guerre asimmetriche e nella crisi obiettiva dell’Onu, funzionano sempre da orientamento i grandi principi della legittima difesa (autorità legittima, proporzionalità dei mezzi, legittimità dello scopo) e non è invece accettabile una linea angelistica di rifiuto tout court di mezzi efficaci di resistenza al male,
Commenti (0)